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Morti sul lavoro ed altre sciocchezze

Si può morire in mille modi diversi, per colpa di un cancro o di un sorpasso infame, cadendo da una scala mentre si sistemano le tende o persino gettandosi giù dal quarto piano per un cattivo voto o una delle solite delusioni d’amore.
Non esiste una classifica delle morti più ingiuste, anche perché persino un allibratore inglese metterebbe fuori quota quelle che vedono i lavoratori come tragici protagonisti.
Siamo arrivati a 210 dall’inizio dell’anno.
210 poveri cristi che si sono trovati travolti da un treno mentre sistemavano dei vecchi binari, operai caduti da un’impalcatura, camionisti stravolti crollati in un ultimo sonno avvolto dalle lamiere.
Ogni anno la politica s’interroga, i dirigenti s’interrogano, i legali, i giudici, i presidenti. S’interrogano tutti.
Con gli occhi gonfi di lacrime posticce cadute (che sfiga) sui sedili della Porsche e tutti quei calcoli da fare, le beghe in tribunale, le richieste di spiegazioni, la burocrazia da semplificare con la sempreverde tecnica dello scaricabarile.
E’ dura gestire un’azienda. Un operaio non ha tutti i problemi di un multimilionario costretto a scegliere tra un soggiorno a Dubai o una serata tra puttane e cocaina in Costa Azzurra.
Cosa ne sa un operaio di strategie, di business, di investimenti pericolosi?
Lui si limita a svegliarsi all’alba, a contare gli spiccioli in tasca, ad andare al cantiere e ringraziare, ringraziare, ringraziare il padrone che gli ha regalato quel sogno hollywoodiano.
Poi, ehi, finire sotto una gru fa parte dei rischi del mestiere.
Così, siccome ad ogni tragico bollettino di guerra riportato dal telegiornale ci copriamo tutti il volto, scuotiamo la testa come a dire “Non è giusto morire così, cazzo!” e agitiamo il pugno al grido di “Vendetta e giustizia”, analizziamo un secondo a quali categorie appartengono le vittime.
Al terzo posto, medaglia di bronzo, ci sono i trasportatori e i magazzinieri.
Al secondo gli operai impiegati nei cantieri. Ma anche il capocantiere e il direttore dei lavori? No, loro no.
E al primo posto, com’è giusto che sia, gli addetti nel settore manifatturiero. Gi operai in fabbrica, per semplificare.
E’ interessante che, scendendo per questa vergognosa classifica, si trovino esclusivamente operai e lavoratori in generale con stipendi che si aggirano tra i milleduecento ed i milleseicento euro al mese.
Non vi è traccia di avvocati, manager, industriali o simili.
Magari rovistando tra i suicidi a seguito di bancarotte fraudolente si potrebbe anche trovare qualcosa. Ma chi ne ha voglia.
Politici morti sul “lavoro”, poi, nemmeno a pensarci.
Non è incredibilmente surreale tutto questo?
I poveri muoiono, i ricchi piangono lacrime di coccodrillo perché i poveri muoiono e noi ci troviamo a dover decidere da che parte stare. Tra chi sopravvive e chi cerca di restare allegro perché piangere fa male al Re.
Così, appare evidente, bisognerebbe fare pace con noi stessi e provare ad essere meno ipocriti di quanto sembriamo.
Se facciamo parte o abbiamo fatto parte di una delle categorie sopra descritte, abbiamo tutto il diritto d’indignarci, di alzare il pugno al cielo ed urlare “Vendetta e giustizia”. Se stiamo seduti alla scrivania pigiando dei tasti o analizzando l’andamento della borsa, proviamo a restare in silenzio e ad ascoltare i pianti senza commentare.
Muoiono i poveri, sempre. Mai i ricchi.
Resta solo un ultimo baluardo di onestà intellettuale e, appunto, di giustizia per cui lottare.
Per ogni operaio deceduto un ricco deve pagare il conto più salato.
Ed è per questo che chiunque decida di non votare al referendum dell’8 e del 9 Giugno non solo è un vigliacco, ma è complice di ogni morte ingiusta.

 

Alex Rebatto

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Alex Rebatto

Alex Rebatto, classe 1979. Ha collaborato nei limiti della legalità con Renato Vallanzasca ed è stato coautore del romanzo biografico “Francis”, sulle gesta del boss della malavita Francis Turatello (Milieu editore), giunto alla quarta ristampa. Ha pubblicato il romanzo “Nonostante Tutto” che ha scalato per mesi le classifiche Amazon. Per Algama ha pubblicato il noir "2084- Qualcosa in cui credere"

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