
Sono stati prosciolti i medici del pronto soccorso di Lavagna indagati per la morte della 18enne Camilla Canepa. Quattro di loro dovevano rispondere di omicidio colposo. Secondo la Procura non avrebbero provveduto a compiere tutti gli accertamenti diagnostici per trattare la sindrome da Vitt (Vaccine-induced immune thrombotic trombocitopenia). E nella documentazione sanitaria non avevano attestato che le era stato iniettato Astrazeneca contro il Covid il 25 maggio 2021.
Fu quel vaccino ad ucciderla provocandole una trombosi, come documentò l’autopsia che non rivelò alcuna patologia pregressa. Secondo l’avvocato dei famigliari Jacopo Macrì, la giovane si sarebbe potuta salvare. Non ci sono invece colpevoli. Anche se dei moralmente responsabili ci sono eccome. Tre mesi dopo l’arrivo del Covid in Italia, maggio 2020, veniva pubblicato uno studio del Mario Negri svolto a Bergamo (cuore della pandemia) secondo il quale con Aulin o Aspirina si potevano ridurre del 90% le ospedalizzazioni. Lo studio fu ignorato dal ministero della Salute per ben due anni, anche perchè era partita la costosissima corsa al vaccino. E secondo l’articolo 14 bis del regolamento Ue sull’autorizzazione condizionata dei vaccini (ossia prima del tempo previsto) era necessario che non ci fossero cure idonee a guarire. Mentre Ursula von der Leyen comprava miliardi di dosi di Pfizer con il ceo Albert Bourla via sms (prima di cancellarli perchè le occupavano la memoria del telefonino) giunse Astrazeneca.
A marzo 2021 venne sospeso dopo la registrazione di alcuni decessi di giovani in tutta Europa. Ma i virologi martellavano in tv sulla sicurezza dei vaccini, tacciando chi aveva dubbi sulla sicurezza di essere un Novax. Il primo consenso informato di Astrazeneca per i pazienti, recitava al punto 10: «Non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza». Poi, quel punto 10, sparì. Quando il vaccino Astrazeneca tornò, con il nome di Vaxzevria, il foglietto illustrativo cambiò più volte (qui tutti i documenti ufficiali dell’Aifa).
In quello dell’1 aprile 2021, era già riportato l’effetto raro di «una combinazione di trombosi e trombocitopenia». In particolare «in donne di età inferiore a 55 anni… Alcuni casi hanno avuto esito fatale». Nel consenso informato del 12 aprile 2021 si avvertiva sull’effetto dei coaguli di sangue che si verificava «principalmente in donne sotto i 60 anni di età. In alcuni casi questa condizione ha provocato morte».
Sicchè tutti i medici e i virologi e tutte le autorità sanitarie sapevano, o erano tenuti a sapere, delle possibili trombosi soprattutto nei giovani. Tanto che il 26 maggio 2021, il giorno dopo la vaccinazione di Camilla, l’Aifa pubblicava un documento denominato «Complicanze tromboemboliche post-vaccinazione anti-COVID-19 con Vaxzevria (ChAdOx1 nCov-19, AstraZeneca) o con COVID-19 Vaccine Janssen (Ad.26. COV2.S, Johnson & Johnson)» in cui erano segnalati diversi casi di trombosi in soggetti vaccinati con Astrazeneca. Nessun giornale pubblicava niente, a parte rarissime eccezioni, per non essere trattato da organo dei Novax e deriso in tv.
Così in Liguria la Regione organizzò gli Open Day per la vaccinazione dei giovanissimi con Astrazeneca. Il 3 giugno annunciava pure trionfante l’imminente avvio della vaccinazione per gli adolescenti. E gongolava: «Come è già accaduto durante gli Open Day per gli over 18, presi d’assalto dai nostri ragazzi, siamo sicuri che anche in questo caso i giovani e giovanissimi daranno un segnale forte e inequivocabile della loro voglia di tornare il prima possibile alla normalità».
Lo stesso giorno Camilla moriva. E all’improvviso tutti giocarono allo scaricabarile: Comitato Tecnico Scientifico, ministero della Salute. E Regione Liguria, che accusò il Cts di non averla avvertita dei pericoli. Come se nessuno sapesse nulla. Resta una domanda: quante possibilità avrebbe avuto Camilla di morire di Covid se non si fosse vaccinata? E si sarebbe vaccinata lo stesso conoscendo i reali rischi? Forse no.
Per la sua morte non è responsabile chi ha prodotto il vaccino, non è responsabile chi non l’avvertì dei pericoli, non è responsabile chi glielo iniettò. E nemmeno chi la curò. È come se tutti volessero dimenticare. A partire dall’ex ministro della Salute Roberto Speranza, secondo il quale la terapia «paracetamolo e vigile attesa» fu addirittura un’invenzione giornalistica. Chissà se i medici che la sconsigliavano e che furono radiati per aver cercato cure alternative, sono d’accordo.