
Davvero l’occupazione è salita alle stelle come non capitava da 45 anni come lasciano intendere i toni trionfalistici dei giornali basati sui dati Istat?

I titoli trionfalistici dei giornali sul tasso di occupazione in Italia che tocca il 60,5% ci hanno destato più di qualche perplessità. Vero è che lo ha certificato l’ultimo rapporto Istat, secondo il quale il numero di occupati è cresciuto in un anno di 496 mila unità, in particolare “per effetto dell’aumento dei dipendenti permanenti”.
Però noi non abbiamo visto questa gara degli imprenditori ad assumere a tempo indeterminato, sgomitando l’un l’altro per accaparrarsi le nuove leve del lavoro. Anzi, li vediamo quotidianamente al collasso. D’altra parte le cifre dell’Inps sembravano darci ragione e raccontare l’esatto opposto di un’Italia florida, con la Cassa integrazione straordinaria cresciuta da gennaio a luglio di qualcosa come il 45,65% rispetto allo stesso periodo del 2021.
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Possibile, ci siamo chiesti, che nello stesso momento aumentino di botto le assunzioni perdipiù senza termine? Possibile che abbiano davvero funzionato le demenziali ricette dei bonus monopattini, delle lotterie degli scontrini, delle elemosine donate a singhiozzo? Possibile che solo noi abbiamo visto saracinesche abbassate, bollette che strozzavano imprese, gente che ha gettato e continua a gettare la spugna, tenendo chiusi i portoni della ditta, nei migliori dei casi in attesa che la buriana energetica finisca?
Sicchè abbiamo spulciato i dati del rapporto Istat per capirne di più. Ma è stato come cercare l’ago in un pagliaio: non a caso c’è un glossario lungo così per interpretarne le cifre. Anzitutto: chi sono gli occupati? Recita il glossario che si tratta delle persone nella fascia d’età tra i 15 e gli 89 anni i quali, nella settimana di riferimento, hanno lavorato almeno un’ora.
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Però il tasso di occupazione record del 60,5% non è calcolato sull’età tra i 15 e gli 89 anni, ma tra i 15 e i 64 anni. I disoccupati comprendono invece le persone “non occupate tra i 15 e i 74 anni”.
Infine ci sono gli inattivi, ovvero quelli che il lavoro non lo cercano più, il cui tasso di inattività si calcola tra i 15 e i 64 anni. Tre fasce d’età diverse: per capire questi calcoli ci vuole minimo una laurea specifica.
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Siccome, tuttavia, siamo abituati a fare i conti su cose reali, abbiamo chiesto conferma all’Istat dei numeri esatti degli occupati: e a ottobre 2022 sono 23 milioni e 231mila. Segnatevi il dato e lasciate il resto ai professori. Abbiamo così cercato in archivio quanti fossero gli occupati prima della pandemia: al 30 settembre 2019, riprendendo i dati Istat, l’Ansa scriveva che erano 23 milioni e 400 mila. Quindi 170mila più di oggi.
Ne consegue che non ci troviamo in mezzo ad alcun boom economico, tutt’altro. E certo, rispetto al 2020 e al 2021, quando ci fu un tracollo nell’occupazione a causa del lockdown, i risultati del 2022 dovevano per forza essere più alti. D’altra parte fu proprio l’Istat a certificare nel 2020 una povertà assoluta che riguardava il 9,4% degli individui.
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A giugno 2021 Repubblica raccontava di come continuassero a scendere i lavori stabili e a salire quelli a termine, con i precari giunti a più di 3 milioni. L’ultimo rapporto dell’Osservatorio sul Precariato dell’Inps rivelava poi un drastico cambio di rotta nell’occupazione: nei primi otto mesi del 2022 sono state assunte a tempo indeterminato 937mila persone, ma hanno cessato il loro contratto 1206000, ovvero quasi 300 mila in più, il dato più alto di cessazioni dell’ultimo decennio.
Nel contempo schizzavano a 2321000 i contratti a tempo determinato: sul piatto della bilancia 2022, il posto fisso va dunque sempre più giù e il precariato sempre più su. E allora come si spiega, contemporaneamente, il clamoroso rialzo “dei dipendenti permanenti” emerso dal rapporto Istat, ossia un dato opposto a quello dell’Osservatorio?
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Siamo tornati a guardare il glossario dell’Istat alla ricerca di una spiegazione. E si è aperta un’ulteriore finestra: perchè abbiamo scoperto che si è considerati occupati fino a tre mesi di assenza dal lavoro, poi si passa ad essere ritenuti inattivi, per via di un nuovo regolamento di conteggio introdotto a partire dal gennaio 2021. Questo che cosa significa per noi comuni mortali?
Può significare che se migliaia di persone hanno usufruito di una cassa integrazione per più di tre mesi (la Cassa Integrazione slittata alle stelle nel rapporto Inps) o hanno chiuso temporaneamente bottega, sono state automaticamente conteggiate per un periodo come inattive.
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E appena sono tornate in azienda, anche solo per un’ora, ecco che l’asticella degli occupati si è alzata vertiginosamente, dandoci l’impressione di un boom economico: più che un nuovo miracolo italiano, un miracolo all’italiana.