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COSA SONO E COSA OFFRONO LE CURE DEL “COMITATO TERAPIA DOMICILIARE COVID 19”?

L'analisi di Mario Martinetti, anestesista e dirigente ospedaliero di Terapia del dolore e cure palliative a Sarzana

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In un recente post il dottor Mario Martinetti, anestesista e dirigente ospedaliero di Terapia del dolore e cure palliative a Sarzana, ha sviscerato la problematica delle cure precoci al CoViD-19, analizzando in dettaglio i farmaci e più in generale le strategie terapeutiche adottate per assistere i pazienti malati di CoViD-19 presso il loro domicilio.

Ultimamente, si è guadagnato una notevole popolarità il “Comitato Terapia Domiciliare CoViD-19”, un’associazione che ha definito e promosso, attraverso la rete di medici suoi aderenti, un “ protocollo di cure domiciliari”, utilizzato in numerosi casi, che mira a evitare l’aggravamento dei pazienti, scongiurando  il ricovero in terapia intensiva e, quindi, un esito infausto della malattia. Al riguardo, abbiamo interpellato il dottor Mario Martinetti.

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 Cosa può dirci sul “protocollo” predisposto da questo comitato?

Innanzitutto una premessa: l’attenzione verso le cure domiciliari al CoViD-19  è molto importante, per cui sono benvenute iniziative in questo senso. Quella promossa da questa associazione ha il pregio di aver riunito numerosi colleghi e di aver raggiunto una quantità significativa di pazienti che, per varie ragioni, non avevano potuto trovare un’assistenza medica adeguata.

Entrando nel merito, di che cosa si tratta?

Prendo a riferimento il documento standard prodotto dal comitato, che ho trovato disponibile in rete, denominato “schema terapeutico di terapie domiciliari CoViD-19”.  Faccio presente che non si tratta dell’unico contributo di questo genere. Esiste, per esempio, un protocollo con la stessa finalità, ma con un approccio sostanzialmente diverso e basato sul ricorso ad altri farmaci, elaborato dall’istituto Mario Negri sotto la supervisione di un illustre medico e ricercatore italiano, il Prof. Giuseppe RemuzziPreciso che, fin dalla prima pagina, lo “schema terapeutico” del comitato in questione si presenta, correttamente, come rivolto ai medici. Ciò non solo per evitare che esso venga utilizzato da persone senza competenza, o addirittura dai pazienti in “automedicazione” – a tal riguardo confermo che questo si configurerebbe come un pericoloso errore – ma anche perché esso, cito testualmente “è un suggerimento che presuppone la necessità di individualizzare la terapia sulle condizioni e caratteristiche del paziente, e deve essere eseguito sotto prescrizione e controllo medico”.
Mi sia consentito aggiungere che questa ineccepibile avvertenza fa giustizia delle distorsioni propagandistiche, certo non alimentate dai membri del comitato, di cui è stato oggetto sui social e da parte di un’informazione poco attenta.
Secondo i suoi ideatori, insomma, esso è uno strumento da maneggiare con saggezza e cautela da parte degli esperti, e non una sorta di “pozione magica”.
Il documento consta di 5 premesse, funzionali all’obiettivo dello “schema ter  in 3 fasi, in ragione della sua severità. In realtà nel documento esiste una quarta fase, detta fase 0, in cui il paziente è positivo ma asintomatico.
Il documento restringe espressamente il proprio campo di applicazione alle sole fasi 0, 1 e 2, tralasciando di occuparsi della fase tre, di pertinenza prettamente ospedaliera.
La seconda e la terza premessa sono, per così dire, il “sale” del protocollo, che dichiara di discostarsi significativamente dalle indicazioni ministeriali in materia di cure domiciliari, volgarmente e impropriamente definite “tachipirina e vigile attesa”.
Sintetizzo: lo schema terapeutico si caratterizza per proporre un intervento significativo con uso di farmaci, che poi vengono dettagliatamente specificati, sin dalla fase 1. La cosiddetta “vigile attesa” viene considerata un approccio inadeguato.
La quarta premessa precisa che non si prendono in considerazione farmaci antivirali in quanto, come conferma la letteratura scientifica, si sono dimostrati inefficaci
La quinta è un accenno, generico, a promettenti studi in corso, non ancora conclusi, sul ruolo svolto nella malattia dalla flora batterica intestinale.

Lo “schema terapeutico vero e proprio si propone questi obiettivi:

  1. tempestività di intervento,
  2. schema semplice facilmente memorizzabile e comunicabile anche telefonicamente
  3. utilizzo di farmaci facilmente reperibili,
  4. uniformità dei trattamenti anche in vista di raccolta dati per studi scientifici
  5. sostenibilità economica

Sui primi tre punti, nulla da eccepire.
Sul quarto e il quinto sono doverose alcune osservazioni.
Attualmente, il protocollo non è ancora stato studiato con le rigorose  sperimentazioni richieste dalla scienza medica, rese pubbliche e verificate dagli esperti e dagli organi di controllo, il che mantiene un punto interrogativo sulla sua reale efficacia.
Per quanto riguarda la sostenibilità dei costi, va detto che, secondo attendibili stime, l’onere economico ha una certa consistenza (circa 300 euro). Questo perché per molti  farmaci l’acquisto è totalmente a carico del paziente, non essendone previsto il rimborso dal sistema sanitario nazionale appunto perché i loro effetti sulla malattia da sars cov2 non sono stati ancora sperimentati.
Il loro uso, in altre parole, viene considerato “off-label”, cioè fuori indicazione, e rimesso quindi alla diretta responsabilità del singolo medico, dopo prudente valutazione  “in scienza e coscienza”.

Vogliamo esaminare il trattamento domiciliare individuato dal documento per le varie fasi della malattia?

Certamente. Incominciamo dalla FASE 0.
Viene consigliata la somministrazione di vitamine C, D3 e K2Quercitina, Lattoferrina, Zinco Picolato, Resveratrolo. Le dosi non sono irrilevanti. Come già spiegato, non è stata dimostrata l’efficacia di questi integratori nel trattamento di pazienti con CoViD-19 asintomatici. E’ appena il caso di notare che i farmaci indicati hanno effetti collaterali di un certo peso, specificati nelle rispettive schede informative.
In alternativa si consiglia isolamento, alimentazione, idratazione adeguata e controllo saturazione, senza trattamenti farmacologici, che è esattamente quanto viene consigliato dalle indicazioni ministeriali in materia di assistenza domiciliare dei malati CoViD-19, la cosiddetta “vigile attesa”. Sottolineo che spesso, ingiustamente, la “vigile attesa” viene considerata un semplice rinvio dell’assistenza all’aggravarsi del paziente, mentre si tratta di una “sorveglianza clinica attiva” da parte del medico, impegnato a cogliere tempestivamente i segnali di un possibile peggioramento nelle condizioni del malato..

FASE 1

Vengono elencati numerosi farmaci, da utilizzare solo dopo aver accertato se il paziente assuma altre terapie che possano interferire. Viene sconsigliato l’uso del Paracetamolo in favore degli antinfiammatori “FANS”, in quanto ridurrebbe la presenza del Glutatione ridotto, che è un importantissimo fattore enzimatico ad azione antiossidante e antiradicali liberi. E su questo si può essere anche d’accordo, almeno in assenza di controindicazioni per l’utilizzo del FANS.

Tra i farmaci consigliati  troviamo i FANS come Aspirina, Indometacina, Ibuprofene, Celecoxib.
Si raccomandano  l’Idrossiclorochina, per le sue proprietà antinfiammatorie, immunomodulanti, antitrombotiche, antibiotici  come l’Azitromicina, anticoagulanti come Enoxaparina, e sedativi per la tosse e antidiarroici.
In calce al documento si suggerisce un antiparassitario come l‘Ivermectina specificando che in Italia non è autorizzato dall’AIFA (agenzia italiana del farmaco).

Esaminiamo l’ Idrossiclorochina.

Il protocollo si premura di indicare tutta una serie di fattori di rischio, non propriamente marginali, da tenere sotto controllo nei pazienti che la assumono. In conseguenza di ciò si precisa che la prescrizione di questo farmaco richiede consenso informato scritto e rilascio di informativa al paziente.
Sulla stato della ricerca e della sperimentazione sull’uso dell’”idrossiclorochina” come farmaco anticovid, mi sono già espresso in un precedente post.
In sintesi, gli studi sino ad ora pubblicati mostrano che l’Idrossiclorochina non ha nessun effetto profilattico nella prevenzione del CoViD-19 e che la sua somministrazione non è correlata a una diminuzione di mortalità nei casi di CoViD-19. Non c’è stato alcun significativo effetto positivo sulla mortalità nemmeno dalla somministrazione di Idrossiclorochina più Azitromicina, che pure compare nelle linee guide della terapia domiciliare.

FASE 2.

Con l’aggravarsi della malattia il protocollo delle terapie domiciliari comincia a prescrivere farmaci sempre più importanti.
In fase 2 infatti vengono consigliati corticosteroidi, anticoagulanti, ossigenoterapia, broncodilatatori, inibitori dei Leucotrieni e integratori, questi ultimi a discrezione del medico, scelti tra quelli elencati nella fase 0, con l’avvertenza di non complicare troppo la cura al fine di renderla di facile attuazione e memorizzazione.
Per quanto riguarda corticosteroidi, anticoagulanti e ossigenoterapia non ci allontaniamo di molto dalle indicazioni ministeriali.
Tra i broncodilatatrori, vengono consigliati Beclometazone/formoterolo, ma attualmente solo il budensonide (cortisonico inalatorio) ha avuto qualche evidenza di efficacia, ancora da convalidare. Nessuno studio convalida gli inibitori dei leucotrieni.

Che conclusione possiamo trarre?

Lo schema terapeutico del Comitato terapie domiciliari CoViD-19 costituisce un apprezzabile tentativo per migliorare la cura dei malati al proprio domicilio,  tuttavia non si può affermare con sicurezza la sua validità.

Come già detto, ci troviamo in una fase in cui sono disponibili solo dati osservazionali forniti dai medici che lo praticano, senza evidenze risultanti da una sperimentazione scientifica con tutti i crismi.

Inoltre, se, come appreso da dichiarazioni dei medici del Comitato, circa il 98 % dei loro pazienti non viene ospedalizzato, il risultato non è significativamente diverso da quando indicano le statistiche sulla malattia, laddove il tasso di ospedalizzazione in tutta Italia dei malati domiciliari, curati in altri modi o secondo le linee guida ministeriali, è pressoché identico.

Ribadisco quindi un concetto già più volte espresso: allo stato attuale delle conoscenze scientifiche chiunque inviti a non vaccinarsi promettendo di far guarire dalla malattia dovuta a Sars CoV-2 con le cure domiciliari precoci è da ritenersi portatore di un messaggio fuorviante e deontologicamente non accettabile.

Rino Casazza 

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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

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