Delitti

Chico Forti, la sua storia diventa un libro a fumetti dal titolo emblematico: “Una dannata commedia”

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Chico Forti, ritenuto colpevole di omicidio, è detenuto in Florida da 21 anni per un errore giudiziario ormai acclarato, ma la giustizia americana continua a fare orecchie da mercante

 

Da Cronaca Vera:

La storia di Chico Forti, l’italiano detenuto da 21 anni per omicidio, in Florida, è diventato un libro a fumetti: “Una dannata commedia”, è il titolo del volume che ripercorre l’assurda vicenda giudiziaria. Lo ha scritto e disegnato Massimo Chiodelli, che conosce molto bene il nostro connazionale, e i proventi delle vendite andranno alla causa per liberare l’italiano.

«Chico è in carcere con una condanna all’ergastolo per un omicidio che lui giura di non aver commesso. Le richieste di revisione del processo sono state sempre rigettate senza spiegazioni. Dopo i numerosi passaggi in televisione e soprattutto la recente inchiesta a puntate de “Le Iene”, ormai molti sostengono che è detenuto ingiustamente. Io credo però che pochi conoscano a fondo la sua vicenda che è “dannatamente”complicata».

Enrico Forti, detto Chico, originario di Trento, è finito nei guai nel 1998, dopo una vita da romanzo. Campione italiano di catamarano, partecipante a sei mondiali di windsurf, diventato produttore televisivo dopo aver vinto una fortuna a “Telemike”, il noto quiz di Mike Bongiorno, si era trasferito a Miami, si era sposato ed era diventato padre di tre figli. Andava tutto bene, investimenti immobiliari compresi, fin quando non fu arrestato per il delitto di Dale Pike, figlio di Anthony Pike, dal quale Forti stava acquistando il Pikes Hotel, struttura che negli Anni 80 era al centro della movida dell’isola spagnola di Ibiza.

L’idolo di tutti

Il 15 febbraio 1998 Dale fu trovato nudo a Sewer Beach, ucciso con due colpi di pistola. Tre giorni più tardi Chico – diventato il principale sospettato – fu interrogato per ore senza avvocato. Una storia assurda che lo porterà all’ergastolo con l’ipotesi che dietro ci fosse una truffa ordita dall’italiano, che invece al contrario ne era vittima. A sostenere l’innocenza di Chico non soltanto amici, esponenti istituzionali, vip, giornalisti ed esperti, ma anche il padre e il fratello della vittima.

«Tutti conoscevano Chico, almeno nel nostro ambiente, quello dei surfisti e degli sportivi», racconta l’amico Chiodelli. «Lui era l’idolo di tutti, il migliore in assoluto. Leggevo sempre di lui sulla rivista a carattere sportivo per la quale lavoravo. Sono un disegnatore, un fumettista e mi dilettavo a disegnare soprattutto vignette ironiche. Un giorno, mentre ero in redazione, arrivò lui. Fu ingaggiato per le cronache dall’estero e da lì nacque questo sodalizio».

Il caso Versace

«Il mio primo libro a fumetti l’ho realizzato con Chico», continua Chiodelli. «Diciamo che il decennio ’80-’90 l’abbiamo vissuto insieme, lavorando come matti. Poi nel ’92 lui è volato negli Stati Uniti. Inevitabilmente da quel momento ci si è persi un po’ di vista, ma tra noi il bene è rimasto immutato. Poi una sera quel colpo al cuore. Non potrò mai dimenticarlo».

Chico è sempre stato convinto che dietro le accuse nei suoi confronti ci sia l’astio per la sua controinchiesta, che aveva fatto a pezzi le indagini sull’omicidio di Gianni Versace, ucciso da Andrew Cunanan, che secondo l’allora capo della polizia Richard Barreto avrebbe agito senza complici. Poco dopo la chiusura dell’inchiesta, Chico ha girato un documentario partendo dal rapporto segreto della polizia sul suicidio. Il suo “Il sorriso della Medusa” è una durissima controinchiesta andata in onda su Raitre (tuttora reperibile in Rete) e che mette seriamente in dubbio il fatto che Cunanan, un killer che aveva ammazzato cinque persone, si fosse suicidato perché spaventato dall’arrivo del guardiano della casa galleggiante sulla quale si stava nascondendo.

«Ho svolto un’inchiesta di almeno due mesi, raccogliendo ben dieci prove inconfutabili che Cunanan è stato ucciso e poi trasportato ne lla casa galleggiante», disse Chico nel 2001 al settimanale “Visto”. «Il guardiano (e fu la testimonianza decisiva) avrebbe messo il naso in quella casa, vedendo Cunanan ancora vivo e a quel punto il serial killer, giudicato fra i più pericolosi d’America, si sarebbe sparato un colpo di pistola alla tempia, anziché sparare all’intruso e fuggire. In risposta alle mie obiezioni, i poliziotti mi dissero: “Se pensi di poter accusare la polizia e non pagarne le conseguenze ti sbagli”. Ma io ho continuato per la mia strada».

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