Mi manca il lockdown.
Nei mesi di “clausura” ci siamo sentiti stretti, fratelli, come dopo ogni tragedia. Nel 2001, quando tirarono giù le torri gemelle e la consapevolezza del terrorismo si fece largo nelle nostre menti, ci fu un’ondata di sorrisi complici, di educazione e rispetto reciproco.
Durò poco, ovviamente. Ma mai, da allora, sentii così forte un legame nei confronti della gente.
Durante il lockdown ci siamo ritrovati in coda davanti al supermercato per ore, ad osservare gli altri e a vedere nei loro occhi, rimasti scoperti dalla mascherina, la paura ed il desiderio di rifugiarsi al più presto tra le rassicuranti mura domestiche. La sera c’erano le dirette di Francesco Lancia e la scoperta di Michela Giraud (amata e dimenticata, allora, nel video con Brunori). Poi i riassunti geniali di Zerocalcare, fino ad allora malauguratamente, da me ignorato. C’era il tempo per cucinare con quello che si aveva in casa, di giocare con i bambini, di vivere la vita.
Nonostante il conto in banca che sprofondava, si era vivi e decisi nel terrore.
Oggi, dopo la tempesta, ci si consola leccandosi le ferite. Si ascolta il telegiornale snocciolare cifre.
Sotto i mille casi era salvezza.
Sopra i cinquemila è rassegnazione.
In piazza scendono i negazionisti alla Sgarbi o alla Briatore. A Napoli si organizzano feste old style. A Milano la movida ha scansato le direttive.
I casi d’infetti in terapia intensiva sono calati. Gli ospedali non sono al collasso ma già si stanno riorganizzando, in attesa. All’interno della fiera si sente l’eco della paura sopita.
I social non hanno smesso di essere terreno fertile per i complottisti e noi, cito, sappiamo cosa rende fertile il terreno.
La verità è che mi manca quell’orgoglio combattivo che ci ha reso più ricchi, nonostante tutto.
Ci manca il tempo per apprezzare l’abbraccio che arriverà, prima o poi, all’annuncio del vaccino, unica e definitiva soluzione.
Nel frattempo, per quanto possibile, dovremmo ripensare ai nostri amici finiti in terapia intensiva, alle vittime del virus scomparse prima del tempo, a chi si fa il culo in ospedale e a chi, pur mantenendo alta la soglia d’allarme, continua a tenere aperta la propria attività per non finire sul lastrico. Senza rimorsi o rancore per nessuno.
Mi manca il lockdown perché vi ho visto la voglia di vincere.
Ora, nelle parole che leggo e sento, trovo solo malessere, rassegnazione e rabbia insensata.
Basta poco per poter un giorno raccontare ai nostri figli una favola che oggi ci appare come una tragedia, un incubo o, peggio, una “dittatura sanitaria”.
Se ci affidiamo alle parole di Sgarbi, Salvini o del comico Montesano, siamo fottuti. Non necessariamente per questa schifosa pandemia, ma perché saremmo per sempre ed inevitabilmente soli.
“Fratelli… Un giorno le acque si ritireranno ed il sole ritornerà a splendere. Allora ci ricorderemo della fratellanza che ci ha unito in queste ore terribili e, con la tenacia che dio ci ha dato, ricominceremo a lottare. Perché il sole sia più splendente, perché i fiori siano più belli e perché la miseria sparisca dalle nostre città e dai nostri villaggi. Dimenticheremo le discordie e, quando avremo voglia di mordere, cercheremo di sorridere. Così tutto sarà più facile.”
Il ritorno di Don Camillo
Alex Rebatto