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Mostro di Firenze: le altre verità. Piste abbandonate o mai intraprese

Dopo l’excursus sulle fasi dell’inchiesta sul Mostro di Firenze, che ha abbracciato un periodo di 34 anni, dal 1981, inizio della fase più cruenta dell’attività del serial killer, al 2014, quando si arena la “pista perugina” sui mandanti dei “compagni di merende”, non poteva mancare un accenno alle ipotesi alternative. Non si tratta di una semplice curiosità.blank

Sono in molti a ritenere il caso ancora aperto, non solo per i molti dubbi sulla sentenza, passata in giudicato nel 2000, che ha condannato Giancarlo Lotti e Mario Vanni (e implicitamente  anche  Pietro Pacciani, anche se quest’ultimo è morto prima di una condanna definitiva) come autori di quattro degli otto duplici omicidi attribuiti al Mostro di Firenze.

A prescindere dalla mancata soluzione per gli altri tre delitti del serial killer (il primo, del 1968, ha addirittura un  diverso colpevole con sentenza definitiva), la verità giudiziaria è incompleta.

Infatti, Pacciani, Vanni e Lotti vengono indicati come “esecutori materiali” degli omicidi, rimandando ad  indagini supplementari la scoperta dei “mandanti”.

Poiché dopo 17 anni tale ricerca  non è approdata ad alcun risultato, le soluzioni che non contemplano un coinvolgimento dei tre “compagni di merende” ne vengono rivalutate.

Parlerò di quelle più interessanti.

mostro di firenze

Le altre piste sul mostro di Firenze

 

1) “E’ la pistola che fa il Mostro”

Il giornalista Mario Spezi è il cronista del quotidiano fiorentino La Nazione che, occupandosi fin dall’inizio degli anni 80 delle vicende del serial killer, ne coniò il soprannome, divenuto famosissimo, di “Mostro di Firenze”.

Spezi, scomparso alcuni anni fa, ha suscitato grande scalpore  pubblicando nel 2006,  in collaborazione con lo scrittore statunitense Douglas Preston,  il libro “Dolci colline di sangue”.

Contemporaneamente uscì una versione in inglese , “The Monster of Florence: a true story”, pubblicata negli U.S.A., molto più esplicita e circostanziata.

Il libro contesta, in modo documentato e con argomenti seri, sia l’accusa contro Pacciani, sostenuta nei processi che l’hanno visto come unico imputato, sia quella contro “i compagni di merende”, sfociata nella condanna a carico di Lotti e Vanni.

L’ipotesi alternativa è che il primo duplice delitto del Mostro, quello di Signa nel 1968, sia da attribuire a un soggetto diverso dallo psicopatico che poi avrebbe commesso tutti gli altri.

Costui, di cui nella versione americana si fa nome e cognome, sarebbe figlio del probabile vero omicida, sempre sospettato ma mai condannato, del delitto del 68.

Ricordiamo che per questo crimine si è giunti a stabilire la responsabilità del marito dell’assassinata.

L’ipotetico Mostro, indicato convenzionalmente come “Carlo” in “Dolci colline di sangue”, ai tempi del primo omicidio era un bambino.

Cresciuto, avrebbe manifestato turbe mentali in linea con quanto emerge  dalle  più accreditate “profilazioni psicologiche” del Mostro.

A partire dal 1974, ad intervalli coincidenti con la sue assenze dal fiorentino, avrebbe commesso tutti gli altri 7 duplici omicidi della serie.

Ciò dopo aver sottratto al padre, durante un’intrusione notturna in casa sua, denunciata dal genitore alle forze dell’ordine, la pistola con cui questi (o eventualmente altri della cerchia famigliare) aveva sparato alle vittime del 68.

Di quest’arma, la famosa mai ritrovata “Beretta calibro 22”, il supposto “Carlo” si sarebbe servito per uccidere fino al settembre del 1985, quando sarebbe entrato in una fase di temporanea quiescenza.

“Carlo”, a piede libero, potebbe tornare a uccidere da un momento all’altro.

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2) “Il poliziotto predatore”

Nino Filastò è un avvocato fiorentino che ha partecipato come difensore a molti processi sul caso del Mostro.

Essendo anche scrittore di romanzi noir ha elaborato, sulla base della duplice competenza professionale e letteraria,   una teoria sul Mostro.

Nei suoi libri, e nei numerosi interventi radiofonici e in video, l’avvocato fiorentino riprende l’ipotesi, sempre scartata, che il Mostro fosse un appartenente alle forze di Polizia.

A orientare Filastò verso questa soluzione non è tanto il sospetto, diffuso ancora oggi, che il serial killer sopraffacesse le coppiette isolate col trucco di presentarsi loro in divisa, ma una testimonianza inquietante, e una congettura.

La testimonianza.
Poco prima del duplice omicidio accaduto durante i mondiali di calcio del 1982, una persona avrebbe visto un individuo equivoco che procedeva lentamente per una strada su un’auto della Polizia, guardandosi intorno come in cerca di un obiettivo.
Il testimone, che ha chiesto a Filastò di non rivelare la propria identità, sostiene che il poliziotto, in borghese, si mostrò imbarazzato dai suoi sguardi, voltandosi dall’altra parte per evitare di essere riconosciuto. Filastò fa notare che le auto di servizio della Polizia hanno, per regola, un equipaggio di due persone.

La congettura.
Durante le indagini, il mostro ha dato prova di conoscere particolari che potevano essere noti solo a una persona addentro all’ambiente investigativo.
Per esempio nel 1981 una lettera anonima, spedita assai verosimilmente dal Mostro, segnalò il collegamento, inequivocabile per l’identità dell’arma del crimine, tra il delitto del 68 e i successivi. E nel 1985 il Mostro sapeva l’indirizzo riservato del magistrato cui spedì una lettera, contenente, a mo’ di macabra sfida, un lembo del seno dell’ultima vittima femminile.

E’ probabile che Filastò abbia un sospetto sull’identità del misterioso poliziotto assassino, ma non se non se ne sa ancora nulla di ufficiale.

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Lettera del mostro al magistrato Silvia Della Monica

3) “Tre Mostri al posto di uno”

Davide Cannella è ex carabiniere che, uscito dall’Arma, ha fondato un’avviata Agenzia Investigativa, la Falco Investigazioni, con sede a Lucca.

Cannella ha concesso interviste e partecipato a dibattiti televisivi sull’argomento del Mostro di Firenze, illustrando la sua teoria.

Cannella è un sostenitore della cosiddetta “pista sarda”, così chiamata perché ritiene che la soluzione del caso dipenda dalla corretta lettura delle vicende che ruotano attorno al primo delitto del 68, consumatosi nell’ambito di una colonia di sardi trasferitisi nei pressi della città di Signa.

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Cannella mostra di essere influenzato dalla sua militanza nei Carabinieri in Toscana dal 1976 al 1988.

E’ stata proprio l’Arma, infatti, ad aver particolarmente puntato su questo filone d’indagine.

La pista sarda deve superare due ostacoli.

Il primo riguarda la “beretta calibro 22”.
Poiché non ci sono evidenze, ed anzi tutto fa pensare il contrario, che il Mostro sia l’autore del delitto del 68, bisogna trovare una plausibile spiegazione di come sia passata nelle sue mani la pistola inizialmente usata per uccidere la coppia di Signa.

Il secondo  riguarda la difficoltà di incastrare gli appartenenti al clan sia in relazione al primo delitto (per il quale è stato condannato, in base a una dubbia confessione, il responsabile ) che ai successivi.
In particolare, dopo il “delitto dei mondiali” l’indagine, giunta a una svolta decisiva con l’arresto, per gravi sospetti, di uno dei sardi, Francesco Vinci,  è andata incontro ad una smentita poiché, mentre l’ indagato era in prigione, nel 1983,  avvenne un altro  delitto a colpi della solita “beretta calibro 22”.
Analogamente il delitto del 1984, il penultimo, avvenne mentre altri due sardi sospettati stavano in carcere.

Il modo in cui Cannella risolve il rebus è semplice, anche se la versione dei fatti che ne risulta è alquanto rocambolesca.

Gli otto duplici omicidi sarebbero stati commessi da tre persone diverse, di volta in volta per motivi differenti.

Il primo, nel 68, mettendo in atto una doppia vendetta, ovvero uccidere una donna scomoda e scaricare la responsabilità su un parente odiato sottraendogli a sua insaputa, e rimettendola a posto, la sua pistola.

Il secondo, terzo, quarto e quinto avrebbero matrice maniacale. Li avrebbe commessi il possessore della pistola, uno psicopatico.

Il sesto e settimo sarebbero stati commessi da un nipote del maniaco, a scopo di depistaggio, per scagionare lo zio in quel momento recluso.

L’ottavo delitto, infine, sarebbe stato commesso a scopo di sfida dallo zio con l’aiuto del nipote, per ribadire agli inquirenti la propria imprendibilità.

Questa teoria, pur basandosi sugli elementi raccolti da Cannella occupandosi della morte anch’essa avvenuta in circostanze equivoche, dell’assassino psicopatico, si scontra con la barriera di omertà che il “clan dei sardi” ha sempre opposto alle indagini.

3) “Il riscatto dello scemo del villaggio”.

Antonio Segnini, pur non avendo una specifica competenza investigativa, né precedenti come saggista ( almeno io non ne ho trovati), nel suo libro ” La verità sul Mostro di Firenze” dimostra di essere un conoscitore approfondito del caso in tutti i suoi risvolti.

Meticolosa e documentatissima, in particolare, la ricostruzione della dinamica di tutti gli otto duplici delitti del Mostro.

Segnini è un convinto sostenitore, sulla scia di Spezi, dell’innocenza di Pacciani.

Per quanto riguarda “i compagni di merende” la sua posizione è particolare.

Scagiona pienamente Vanni, ma punta i riflettori su Giancarlo Lotti.

I riscontri su un suo coinvolgimento negli ultimi quattro omicidi gli sembrano indiscutibili.

In particolare ritiene che la sua, peraltro controversa, confessione contenga  una tale verosimiglianza di  dettagli da far considerare come sicura la sua  presenza sulle scene criminis.

Da qui la convinzione che il  Mostro sia Lotti.

Lo confermerebbe il suo profilo psicologico disturbato, e soprattutto la sua ritenuta impotenza sessuale, uno dei tratti che i “profiler” sono concordi nell’attribuire al Mostro per il suo mudus operandi.

Vanni e soprattutto Pacciani erano, invece, dei “sessuomani”, frequentatori assidui di prostitute.

Lotti, reputato da quanti l’hanno conosciuto come uno  balordo dal cervello corto, e classificato nelle perizie degli esperti come “minorato mentale”,  avrebbe in realtà mostrato una insospettabile astuzia.

Prima, commettendo i delitti del Mostro (tranne il primo) senza farsi mai scoprire, e poi, messo alle strette per il convergere su di lui dei sospetti nell’ambito dell’inchiesta Pacciani, scegliendo il male minore col ritagliarsi un ruolo di “palo” negli omicidi scaricando la responsabilità principale sugli altri due, innocenti, “compagni di merende”.

Questa teoria, pur essendo sul crinale dell’inverosimile ( soprattutto per i dubbi sulle risorse nascoste di Lotti) potrebbe anche reggere, se non fosse per il solito ostacolo del “passaggio di pistola”.

Segnini, infatti, è costretto a spiegarlo con la presenza di Lotti, nel suo girovagare di guardone notturno, sul luogo del delitto del 68, cui avrebbe assistito di nascosto, impadronendosi poi della pistola, gettata via dell’assassino.

Rino Casazza

Vedi anche dello stesso autore:

Yara Gambirasio: l’errore investigativo americano che potrebbe indurre a riaprire il caso“La leggenda del Vampa” di Giuseppe Alessandri: la dubbia colpevolezza di Pietro Pacciani:- PARTE QUARTAIl caso di Yara Gambirasio: il D.N.A. e la pistola fumante“La leggenda del Vampa” di Giuseppe Alessandri: la dubbia colpevolezza di Pietro Pacciani:- PARTE TERZA“La leggenda del Vampa” di Giuseppe Alessandri: la dubbia colpevolezza di Pietro Pacciani- PARTE SECONDALa leggenda del Vampa” di Giuseppe Alessandri: la dubbia colpevolezza di Pietro Pacciani- PARTE PRIMAL’eterno ritorno del Mostro di Firenze La leggenda del mostro muratoreLa condanna di Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara: la logica e la giustizia

 

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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

ommenti

  1. Salve,
    mi chiamo Luca Giaggiolo e le chiedo cortesemente di poter rivolgere il seguente appello agli utenti del suo blog.

    In relazione alla nuova indagine sul Mostro di Firenze, le recenti analisi del Dna, condotte dai RIS su alcuni vecchi reperti, hanno riscontrato un fondamentale match con uno dei componenti dei Compagni di merende (la Repubblica 1 agosto 2017). Sebbene non sia ancora noto il nome del soggetto al quale il Dna apparterrebbe, tuttavia sono ciecamente convinto che esso sia di Giancarlo Lotti. E, oltre a ciò, ritengo che il suo Dna sia anche presente in tutte le altre lettere spedite dal Mostro agli inquirenti; e, soprattutto, nella busta contenente un lembo del seno di Nadine Mauriot, che, a mio avviso, rappresenterebbe la prova regina della sua colpevolezza.
    Tuttavia, fermo restando che le mie supposizioni siano giuste, l’esito dell’indagine in corso potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. Infatti, poiché Lotti è un “membro” dei Compagni di merende, ciò potrebbe indurre gli inquirenti a considerare i risultati del dna come la mera conferma della correttezza delle precedenti indagini. E quindi, ciò potrebbe anche portare alla definitiva chiusura del caso, lasciando così in piedi l’assurda ipotesi che a commettere gli omicidi siano stati i Compagni di merende su commissione.
    Dopo questa breve premessa, vorrei ora raccontare la mia storia personale in relazione alla nota vicenda del Mostro di Firenze. Nel corso dell’estate del 1995, ero gestore di un ostello della gioventù in provincia di Massa Carrara. In quel periodo, una notte, accadde un fatto molto grave a pochi passi dal muro di cinta di questo ostello. Sulla base delle informazioni in mio possesso, una giovane coppia fu aggredita da un uomo, mentre si trovava in atteggiamenti intimi all’interno della propria automobile. Fortunatamente, entrambi i componenti della coppia uscirono illesi da tale aggressione, ma, data la gravità del fatto, fu richiesto l’intervento dei Carabinieri. Secondo le voci che giravano a quel tempo, l’aggressore, sconosciuto alle vittime, sarebbe stato un uomo di mezz’età, alto e robusto, il quale sarebbe scappato dopo aver compiuto il gesto.
    Curiosamente, nello stesso periodo, Giancarlo Lotti pernottò saltuariamente in questo ostello. A quel tempo, lui era disoccupato e viveva in una struttura per senzatetto a San Casciano. Aveva una macchina, mi sembra una coupé, ma non ci posso giurare se fosse la famosa 128 coupé color rosso, citata nelle indagini. Ricordo inoltre che aveva una ragazza paraplegica di nome Alessandra, che ogni tanto portava a mangiare al ristorante dell’ostello.
    Ora, avendo studiato approfonditamente il caso del Mostro di Firenze, sono convinto che Giancarlo Lotti possa essere un serial killer solitario, più precisamente un lust murder (senza né complici né mandanti); e credo che, grazie al suo comportamento da perfetto psicopatico, egli sia pienamente riuscito a far depistare le indagini facendo accusare delle persone innocenti.
    Senza voler entrare in merito ai numerosi indizi di colpevolezza a suo carico, poiché sarebbe un discorso molto lungo da affrontare in questo momento, mi vorrei invece soffermare sul seguente quesito: “Perché, se Lotti fosse veramente un serial killer, non avrebbe continuato ad uccidere come normalmente fanno tutti gli altri serial killer?”.
    La mia risposta è la seguente: “L’interruzione degli omicidi potrebbe essere spiegata in due semplici modi. Per prima cosa, la paura del serial killer riuscì sicuramente a scoraggiare le coppiette fiorentine ad appartarsi in luoghi bui e isolati, rendendo quasi impossibile la ricerca di nuove vittime. In secondo luogo, è possibile che la pistola utilizzata nei delitti, un’arma molto obsoleta, si sia rotta irreparabilmente; oppure, molto più semplicemente, la scorta di munizioni si sia esaurita. Dunque, in un tale contesto, l’episodio di molestie sessuali sopracitato potrebbe dimostrare che l’interesse ossessivo compulsivo di Lotti nei confronti delle giovani coppiette non si sia mai esaurito, anche se non sia stato così evidente.
    Per tale ragione, tramite la Nazione di Viareggio (18 ottobre 2016), l’unico quotidiano che ha mostrato finora un po’ di interesse alla mia storia, ho fatto un appello mediatico rivolto a tutti coloro che fossero a conoscenza dell’aggressione alla coppietta di Massa Carrara, invitandoli a contattare le forze dell’ordine. Oltre a ciò, ho anche spedito una PEC direttamente al dott. Paolo Canessa, procuratore capo di Pistoia, che conduce l’inchiesta, chiedendogli di indagare su questo particolare caso.
    Francamente, ritengo che l’unica possibilità rimasta per impedire che l’attuale inchiesta sul Mostro di Firenze si concluda con un deludente nulla di fatto, possa essere solamente quella di poter stabilire un chiaro legame tra Lotti ed eventuali casi di molestie sessuali a danni di coppiette, accaduti prima del 1996, sia in Toscana che nelle aree limitrofi. Pertanto, sono qui a chiedere a voi tutti di aiutarmi ad estendere il mio appello ad un maggior numero di persone, tramite quotidiani, canali televisivi e programmi radiofonici.
    In conclusione, vorrei aggiungere che in un articolo del settimanale «Oggi» dell’agosto 2017, l’avvocato Vieri Adriani riferisce che il dott. Canessa gli avrebbe detto che stava per archiviare il fascicolo (poiché il dna avrebbe confermato la correttezza delle indagini) quando invece gli capitò un “colpo di fortuna” che avrebbe modificato sensibilmente il quadro probatorio. A mio giudizio, è possibile che in seguito al mio appello mediatico, qualche testimone si sia fatto avanti oppure gli inquirenti siano riusciti a ritrovare il verbale d’intervento dei Carabinieri relativo al fatto di Massa Carrara. Comunque queste sono solo supposizioni ed avrei veramente bisogno di continuare ad estendere il mio appello.

    Grazie
    Luca Giaggiolo

  2. Bisognerebbe capire la notizia perizia di 2 GG fa…il proiettile in casa Pacciani fu artefatto…Lotti qui dove lo collochiamo?

    1. Buona sera. Il proiettile trovato nell’orto di Pacciani è da sempre considerata una prova inattendibile, non foss’altro perché non è stato possibile dimostrare che apparteneva a Pacciani e nemmeno che faceva parte della scorta di proiettili del Mostro.
      Si trattava di un puro elemento indiziario, senza rilevanza, ancor prima che venisse fuori la notizia di una manipolazione per far credere che fosse rimasto inceppato dentro una pistola. Una pistola, forse, ma non necessariamente quella del Mostro.
      Lotti è il cardine della teoria dei compagni di merende. Senza la sua confessione, con chiamata di correo nei riguardi di Pacciani e Vanni, non Si sarebbe arrivati alla condanna.

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