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Le Storie di Alex Rebatto – Villa Virginia (Seconda parte)

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VILLA VIRGINIA (PRIMA PARTE)

Passammo la giornata al mare, limitandoci ad un paio di nuotate. Poi, prima del crepuscolo, ci rifugiammo nuovamente a Villa Virginia. Cenammo seduti al tavolo della sala discutendo sul traffico locale e sul carattere socievole dei siciliani.
Intorno alle dieci la luce s’interruppe di nuovo. Questa volta il blackout durò pochi secondi.
Poi tornò e per tre giorni non avvenne alcunché di preoccupante.
Percorsi qualche centinaio di chilometri, in quei tre giorni. Fui costretto a rifornire un paio di volte la Skoda augurandomi che quel rumorino che saltava fuori ogni volta che acceleravo non si rivelasse qualcosa di grave.
La sera prima del matrimonio ci concedemmo un bicchierino di limoncello seduti al tavolo di marmo giù in giardino. Victor era insolitamente silenzioso.
Come avrete già intuito, in quell’istante, la luce si spense facendo piombare l’intera villa nell’oscurità.
Sentii la mano di mia moglie stringersi attorno al mio polso.
“Vic” mormorai all’orecchio del piccolo.
“E’ qui?”

Percepii la testa del piccolo muoversi su e giù.
“Ciao bambina” disse ancora, come la sera del nostro arrivo.
Indicò la piscina.
“Bambina” ripeté.
Presi il cellulare e la illuminai. Nulla da vedere, oltre alle luci della città sullo sfondo.
“Piccolo” lo strinsi più forte “Com’è vestita la bimba?”
Rispose immediatamente.
“Bianco.”
Respirai piano, per non spaventarlo. Più di quanto non lo fossi già io, voglio dire.
“Sai come si chiama?”
Ecco, se fino a quel punto ci poteva essere un ragionevole dubbio che la faccenda potesse avere una spiegazione plausibile, in quell’istante il buonsenso venne meno.
E la risposta, inaspettata, mi bloccò il respiro in gola.
“Beatrice” il piccolo lo ripeté tre volte.
“Beatrice. Beatrice. Beatrice.”
Balbettai: “Non Elena? Non si chiama Elena?”
Victor scosse la testa.
“Elena non c’è più” disse. Fece per aggiungere qualcos’altro poi si bloccò, in ascolto.
“Lo zio” sussurrò, come per imitare la voce che stava sentendo solamente lui “La collana rossa. Lo zio.”
Infine, con un ultimo stanco rigurgito di confidenza, disse:
“Lo zio è cattivo.”
La luce tornò.

La mattina dopo mi svegliai come al solito prima degli altri. Scesi di sotto con la mia tazzina di caffè e mi aggirai attorno alla piscina.
Ci pensai per paio di minuti buoni, poi appoggiai la tazzina sul tavolino e scavalcai.
Il fondo era azzurro, con un sottile strato di acqua sporca e del muschio negli angoli.
Ne percorsi tutto il perimetro a passi lenti. Poi lo ripercorsi di nuovo, e di nuovo.
Quando ero ormai pronto a puntare le mani sul bordo per risalire mi accorsi di qualcosa che, illuminato dalle prime luci dell’alba, risaltava come una boa nel mare.
Come avevo fatto a non accorgermene prima?
Lo raccolsi e lo rigirai tra le mani. Era una sfera bianca, con una leggera striatura rosa.
Ma una volta doveva essere stata una perla. Una perla rossa.
Saltai in auto e raggiunsi il paese vicino. Il bar era ancora chiuso.
Mi avvicinai ad un pescatore che mi rivolse un’occhiata amichevole.
“Le faccio una domanda davvero strana” mi presentai “Conosce un poliziotto abbastanza anziano da aver avuto a che fare con la faccenda di Villa Virginia del 1982?”
La domanda, stranamente, non sembrò impressionarlo più di tanto. Mi rispose senza pensarci.
“Il vecchio Attilio” si asciugò il sudore dalla fronte con un fazzoletto “Se aspetta una mezz’oretta passerà da queste parti, come tutte le mattine.”
Per i quarantacinque minuti seguenti aiutai il pescatore a scaricare secchi e casse piene zeppe di pesci guizzanti poi, quando finalmente m’indicò un anziano canuto dalla considerevole barba bianca, ci salutammo con una fetida pacca sulla spalla.
Raggiunsi il vecchio, intento a studiare la frutta in esposizione davanti ad una bancarella, e andai direttamente al dunque.
“Sono ospite a Villa Virginia” dissi “E vorrei parlarle di quella ragazzina morta.”

Fu una lunga chiacchierata, che si spostò al tavolino del bar, davanti a due granite al caffè.
Venni a sapere che, all’epoca, il signor Attilio si occupò in prima persona delle indagini e, per dirla con parole sue “La faccenda mi è sempre puzzata.”
Gli chiesi informazioni sullo zio della vittima e lui mi rispose che da un pezzo se n’erano perse le tracce. Poi domandai della sorella di Elena, la piccola Beatrice.
Assunse un’espressione contrita.
“Povera figliola” scosse il capo “Soffrì così tanto per quella tragica morte che ci giunse voce, una mesata dopo, che si era tolta la vita lanciandosi dalla finestra della sua cameretta. Una disgrazia.”
Stavo per fare un’altra domanda quando m’interruppe sporgendosi verso di me.
“Lei ha un bambino?” lo chiese quasi con rabbia. Mi diede una strana sensazione.
Annuii.
Mi afferrò il braccio, con forza. Avvicinò il suo volto ancora di più. I nostri nasi distavano una manciata di centimetri.
Potevo sentire nelle narici un intenso aroma di caffè e sigari.
“Cos’ha detto?” tossì in un grido sforzato “Cos’ha detto il bambino?”
Mi liberai dalla stretta e gli raccontai ogni cosa. Non omisi nulla, neppure i particolari più stupidi. Infine estrassi dalla tasca la perla e gliela offrii.
Lui la prese in mano, la studiò con un occhio socchiuso e finalmente sorrise mettendo in mostra una dentatura perfetta.
“Lo sapevo” scattò in piedi “Lo zio! Lo sapevo.”
Poi s’incamminò a passo deciso lungo il pontile e scomparve.
Rimasi lì, inebetito, e mi resi conto che mi aveva sottratto due cose: la perla e un accendino.

Il matrimonio fu commovente. La cena che ne seguì ancora di più.
Io e mia moglie stringemmo amicizia con una coppia di bolognesi amici dello sposo e i brindisi si moltiplicarono a dismisura. Victor s’intrattenne a giocare per ore con la figlia e riuscì ad addormentarsi solo alle due, quando finalmente rientrammo alla villa.
Quella fu l’ultima notte che passammo in quella casa.
La mattina dopo caricammo i bagagli sulla Skoda, che ormai arrancava sulle strade a sobbalzi ed emetteva un denso fumo nero da dietro e raggiungemmo l’aeroporto.

Vorrei potervi dire cosa avvenne dopo quella vacanza.
Vorrei potervi rassicurare sullo zio delle bambine, sulla strana presenza che si materializzava nottetempo davanti alla piscina.
Vorrei potervi spiegare cosa accadde realmente quella sera di Giugno del 1982 a Villa Virginia.
Purtroppo non ne sono in grado.
Una sola cosa posso dirvi con assoluta sicurezza e, ebbene sì, lo ammetto, con un briciolo di paura: da quel giorno Victor, prima di addormentarsi con il suo gattino di peluche stretto tra le braccia, augura la buonanotte alla mamma, al papà…
E a Beatrice.

 

Alex Rebatto

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Alex Rebatto

Alex Rebatto, classe 1979. Ha collaborato nei limiti della legalità con Renato Vallanzasca ed è stato coautore del romanzo biografico “Francis”, sulle gesta del boss della malavita Francis Turatello (Milieu editore), giunto alla quarta ristampa. Ha pubblicato il romanzo “Nonostante Tutto” che ha scalato per mesi le classifiche Amazon. Per Algama ha pubblicato il noir "2084- Qualcosa in cui credere"

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