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Montepaschi ammazzatutti

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Caduta su caduta. Il prezzo della nuova azione Mps raggruppata, questo lunedì, è già andato in asta due volte per eccesso di ribasso. Insomma, i mercati finanziari stanno dicendo chiaro, prima di tutto al signor Renzi, sindaco eletto di Firenze e caudillo mai eletto dal popolo della nostra sventurata patria, che il piano di Montepaschi ’un vale una sega. Tutte le banche italiane ne sono danneggiate, alcune potrebbero esserlo al di là del bene e del male. E insieme alle banche, tutta l’economia.

La responsabilità politica è predominante. Tutti sanno che il Monte dei Paschi di Siena è da sempre una banca “di sinistra”, uno dei pilastri su cui si imperniava il potere del Pci e del Psi in Toscana e in Italia. Questa protezione politica ha permesso a molti dirigenti della banca senese di rubare a man salva per anni. Per di più, il prezzo era la concessione di credito senza nessuna base economica, che è il motivo per cui il Montepaschi è oberato di attivi non performanti (o Non-Performing Loans, npl: quando un debitore non è in grado di ripagare il debito e magari neppure gli interessi).

Il piano immaginato dal nuovo amministratore (messo al posto di comando dal governo), e approvato dall’assemblea con il voto decisivo dell’azionista Stato e dagli amici che Renzi ha nella finanza globale, non prevede una vera garanzia da parte dello Stato, che è l’unico elemento che potrebbe reggere tutto il progetto.

Una tale garanzia non sarebbe del tutto legale in base alle nuove norme europee sul bail-in; ma queste norme non piovono dal cielo, il governo a suo tempo le ha accettate, senza pensare che il sistema bancario italiano non poteva affrontare la situazione che esse generavano. In ogni caso, nelle norme europee esiste una clausola anti-catastrofi che permette, se è a rischio la stabilità del sistema economico, interventi di Stato altrimenti proibiti. Ed è precisamente questo il caso.

La Borsa ha inflitto al titolo Montepaschi un anno di calvario dopo che Renzi, nel gennaio scorso, ha dichiarato che la banca era risanata e costituiva ormai “un buon investimento”. L’azione ha perso fra il 95 e il 99% del suo valore, con un andamento estremamente volatile, a colpi di variazioni giornaliere in un senso o nell’altro superiori al 5%. Ciò vuol dire che tutti coloro che non erano speculatori e hanno creduto nei periodi di ripresa sono stati selvaggiamente puniti per la loro fiducia. La platea di simili investitori non è infinita. Quanti saranno ancora disposti a investire nel Monte dei Paschi, o, se è per questo, nelle altre banche italiane? Ben pochi, si deve temere.

Cito da TgCom24: «Secondo il Financial Times, c’è la possibilità che fallisca il salvataggio di Montepaschi. In questo caso, per il giornale economico, potrebbe crollare la fiducia in generale “mettendo in pericolo una soluzione di mercato per le banche in difficoltà”…

Un altro dei timori è che le eventuali difficoltà delle otto banche possano “minacciare l’aumento di capitale di 13 miliardi di euro di Unicredit, la prima banca italiana per asset e la sua unica istituzione finanziaria di rilievo, in calendario all’inizio del 2017”.

“Il nocciolo della questione è il caso Mps – spiega una fonte di alto livello –. Con la banca risolta non sono preoccupato. Con Mps irrisolta, sono preoccupato”.»

La “fonte di alto livello” fa molto bene a preoccuparsi. Senza un supporto deciso da parte dello Stato, l’intero sistema bancario italiano è a rischio di crollo. Non per motivi inevitabili, ma per la mancanza di un elemento chiave per sostenerlo nel periodo delicato che sta attraversando. Così come non è inevitabile che una persona globalmente ben alimentata, ma nella cui dieta sia del tutto assente la vitamina C, soccomba a una malattia da denutrizione. L’unica che potrebbe subire è lo scorbuto, ma se qualcuno non ci mette qualche arancia, la persona ne sarà inevitabilmente colpita.

Lo Stato le arance per il sistema bancario ce le ha. Invece di blaterare di mercato a destra e a manca, ce le metta. E invochi le clausole di emergenza se a Bruxelles fanno obiezioni.

Paolo Brera
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Paolo Brera

Paolo Brera è nato nel secolo scorso, non nella seconda metà che sono buoni anche i ragazzini, ma nell’accidentata prima metà, quella con le guerre e Charlie Chaplin. Poi si è in qualche modo trascinato fino al terzo millennio. Lo sforzo non gli è stato fatale, ma quasi, e comunque potete sempre aspettare seduti sulla riva del fiume. Nella sua vita ha fatto molti mestieri, che a leggerne l’elenco ci si raccapezza poco perfino lui: assistente universitario di quattro discipline diverse (storia economica, diritto privato comparato, eocnomia politica e marketing), vice export manager di un’importante società petrolifera, consulente aziendale, giornalista, editore, affittacamere e scrittore. Ha pubblicato una settantina di articoli scientifici o culturali, tradotti in sei lingue europee, due saggi (Denaro ed Emergenza Fame, quest’ultimo pubblicato insieme a Famiglia Cristiana), due romanzi e una trentina di racconti di fantascienza, sei romanzi e una decina di racconti gialli, più un fritto misto di altri racconti difficili da definire. Negli ultimi anni si è scoperto la voglia di tradurre grandi autori, per il piacere di fare da tramite fra loro e il pubblico italiano. Questo ha voluto dire mettere le mani in molte lingue (tutte indoeuropee, peraltro). Il conto finora è arrivato a quindici. Non è che le parli tutte, ma oggi c’è il Web che per chi lo sa usare è anche un colossale dizionario pratico. L’essenziale è rendere attuali questi scrittori e i loro racconti, sfuggire all’aura di erudizione letteraria che infesta l’accademia italiana, e produrre qualcosa che sia divertente da leggere. Algama sta ripubblicando le sue opere in ebook, a partire dalla serie dei romanzi con protagonista il colonnello De Valera.

Un commento

  1. Aumento su aumento
    diluizione su diluizione
    furti su furti
    e cosi’ risparmi una vita e sti por……… ti svuotano il conto
    commedia all’ italiana
    un applauso

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