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Giusi De Valera e il caso del travestito brasiliano – Un racconto di Paolo Brera

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Chiamarono la Giusi quasi subito. Una rissa fra travestiti è rara nel mondo della prostituzione, ma quando avviene, la polizia si mobilita all’istante. Perché nel mondo notturno le tettone abbondanti e provocanti, anche se in genere fornite di un pisellone fuori ordinanza che ci puoi battere il tamburo nell’orchestra, sono un bel diversivo.

Carmen, trattenuto o trattenuta da due agenti della Volante, aveva avuto qualcosa da ridire con un altro travestito, una transgender di nome Carmela. Oggetto del contendere, ignoto. Lo scontro era cominciato come un duello con i rasoi (tutti i travestiti ne avevano uno, perché dovevano radersi i peli superflui), provocando solo pochi graffi. Poi i duellanti avevano trasceso. Carmen aveva sferrato un calcio di capoeira al plesso solare dell’altra, stendendola.

Carmen era alto uno e ottantacinque, forte come un toro, e i due poliziotti che lo tenevano sapevano benissimo che si sarebbe potuto liberare facilmente, ma non lo faceva perché con la polizia non si deve troppo litigare. Indossava un abito da sera di lamé scollatissimo che metteva in mostra due seni da procreazione irresponsabile, ma aveva i fianchi stretti come quelli della ragazze moderne e due gambe lunghe da scorridore del sertão. Parlava con una bella voce di baritono verdiano.

La Giusi si presentò a Carmen: «Sono l’ispettrice Maria Giuseppina De Valera. Lei è Luís Kubitschek Ciganos, detto Carmen?» Carmen annuì. «Nato a Santa Catalina, in Brasile, trentaquattro anni fa?» Altro cenno di assenso. «Perché ha colpito la sua… collega?» «Questioni di uomini.» «Faceva prezzi troppo bassi e rovinava la piazza?» domandò la Giusi a bruciapelo. Carmen spalancò la bocca dallo stupore. «E você come fa a saverlo?»

Il volontario dell’ambulanza si avvicinò proprio in quel momento: «Sospetta costola incrinata, prognosi trenta giorni». Perseguibile d’ufficio, pensò la Giusi. «Mi deve seguire in Questura» disse a Kubitschek. «E facciamo anche questa!» rispose rassegnato il travestito.

Durante il viaggio, che entrambi fecero nel sedile posteriore, Kubitschek allungò la mano sulla coscia della Giusi. Che invece di reagire, far fermare l’auto e ammanettare il travestito, lo lasciò fare stupitissima della sfacciataggine di lui e del suo proprio piacere – perché, inspiegabilmente, quella carezza le stasva piacendo. Solo all’arrivo respinse la mano e gli intimò di scendere.

Ma alla fine dell’interrogatorio avevano già un appuntamento per l’indomani.

In un vestito borghese, la Giusi era quasi irriconoscibile. Sembrava la zitella delle barzellette, quella che andando avanti con l’età le sale alla testa l’acido zitellico e la fa inacidire. Era una donna di suo abbastanza attraente, ma non si sapeva vestire nel modo più assoluto e non faceva neanche la metà della figura che avrebbe potuto fare. In divisa era molto più bella, ma non è che facesse molti incontri interessanti nel corso del suo lavoro. Per ironia, l’avevano messa alla Buoncostume.

A quarant’anni non aveva un fidanzato ( ne aveva avuti solo due o tre in tutti gli anni precedenti) e già si vedeva votata a un futuro di solitudine.

Luís non fece mistero delle sue intenzioni. Un’ora dopo che si erano visti a casa sua erano già nudi a letto. Il travestito era un amante attento e spiritoso. La Giusi, che aveva rimandato alla settimana successiva l’analisi delle sue proprie motivazioni, dei rischi che correva e della sua follia, si rese conto che non solo il suo corpo rispondeva, ma anche la sua anima si sentiva in sintonia con il suo compagno. Incredibile. Inspiegabile. Ma per le spiegazioni c’era la settimana successiva.

Dopo fatto l’amore, mentre riposava con la testa sulle tettone di Luís e la mano sul suo pacco, gli chiese di raccontargli la sua storia.

«Estou falando con la poliziotta o con la mia ragazza?» le domandò lui, cauto. «Con la tua ragazza… una specie» rispose lei, arrossendo, e arrossendo del suo rossore. Con uno che di lì a qualche ora sarebbe stato imputato di lesioni, non poteva sentirsi in imbarazzo. Guarda James Bond, si disse. Un quarto d’ora dopo aver trombato con la Pussy Galore di turno, la consegna nelle mani del controspionaggio. Il dovere è dovere.

«D’accordo» si fidò Luís. E raccontò la sua storia. In Brasile, era sposato e aveva due figli. Sua moglie era nera di pelle e devota agli orixás, in particolare a Oxóssi. Ma l’orixá non era stato di grande aiuto per trovare lavoro. Luís sapeva fare bene il meccanico, ma per i  meccanici non c’era lavoro e aveva dovuto impiegarsi in una manifattura di tabacchi.

Tre anni prima, la manifattura era fallita. E Luís era venuto a cercare fortuna in Italia. Moglie e figli ricevevano ogni mese i soldi che Luís guadagnava prostituendosi, ma ignoravano come se li procurava. Lui aveva accennato vagamente a un garage, dove alternava il lavoro di meccanico a quello di custode notturno (così non si meravigliavano di non ricevere chiamate in quello che in Brasile era un orario ideale). Su Facebook aveva due pagine, in quella per il Brasile le sue foto erano castigate e puramente maschili, in quella italiana appariva come il travestito che era al di qui dell’Atlantico.

«Una doppia vita» commentò la Giusi, stupita e ammirata. Quello era un uomo su cui si poteva contare, un solido pilastro per la sua famiglia. Uno che sapeva sacrificarsi.

«Ce ne fossero, di uomini così» si disse.

 

Nelle settimana seguenti, anche lei visse uno sdoppiamento di personalità. Da una parte consegnava al sostituto procuratore il materiale per incriminare Carmen o altri travestiti che scivolavano nella criminalità o nello spaccio di droga, dall’altra passava due o tre tardi pomeriggi o sere alla settimana con Luís. Magari andavano a cena fuori in qualche ristorante della cintura – non a Milano, troppo pericoloso – con lui vestito da Carmen ma con abiti più sobri di quelli che avrebbe poi indossato di notte, sul lavoro. Stavano lì fino alle dieci, poi la Giusi lo accompagnava un tratto con l’auto, fino alla sua macchina di lavoro, lui ci saliva sopra, la salutava e partiva. Altre volte si fermavano nel bilocale di lui. E ogni volta che facevano sesso, era il buonumore assicurato.

Anche in ufficio finirono per notare la sua trasformazione. Era più soddisfatta, più distesa, più femminile. Naturalmente, lei non poteva spiegare la situazione, era del tutto irregolare. In confessionale sì, la raccontò come stava. La più gesuitica delle casistiche non aiutò il prete a districarsi. Qual era il peccato: l’adulterio, il venir meno alla deontologia professionale, oppure il fare sesso extraconiugale con un uomo fornito di mammelle che poteva anche esser visto come una donna fornita di un pene? Alla fine, disperato, le chiese se era sinceramente pentita. Lei rispose che mica tanto. Con un sospiro di sollievo, il prete le disse che senza pentimento non poteva rimetterle i suoi peccati, quali che fossero. E lei si allontanò dal confessionale con l’anima in tumulto.

Poi cominciarono i giorni duri. Alla Buoncostume risultava che un certo Camillo Stenditori, esponente della Mafia del Ticino, stesse cercando di prendere il controllo del racket della prostituzione a Gorla. Con le nigeriane e le albanesi c’era già riuscito: e i loro magnaccia erano scomparsi dal giro, chissà dov’erano e se erano sopra o sotto le zolle che nella pianura Padana segnano il confine tra cielo e terra.

L’informatrice che seguiva la storia parlava di un aiuto che Camillo stava ricevendo per allargarsi al mondo dei viados, un travestito che a quanto pare aveva una relazione con Camillo.

Il travestito si chiamava Carmen.

La Giusi chiese maggiori informazioni. Poteva essere Luís come poteva essere qualcun altro: fra i travestiti il nome Carmen era piuttosto comune, e non si riusciva a tenere dietro a tutti con la schedatura.

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Ma era proprio Luís.

Passi avere una moglie e due figli in Brasile, che in ogni modo è bello lontano, si disse la Giusi, ma un rapporto qui in Italia era proprio inconcepibile. Va be’, era con un uomo, non era grave come se fosse stato con una donna, di figli per esempio non si parlava. Quelli li avrebbe fatti lei, che aveva tutti gli ormoni in regola e un’ovulazione impeccabile. Però prima Luís doveva lasciare la moglie, i figli e ora anche quel mafioso da strapazzo. E il lavoro. Gliel’avrebbe trovato lei, un impiego da meccanico.

Una sera andò alla rotonda di Gorla dove Luís passava le sue proficue notti e lo affrontò decisa:

«Devi lasciar perdere Camillo, per lui le cose si mettono molto male e puoi andarci di mezzo anche tu.»

«Sei gelosa?» le replicò Carmen, andando subito al dunque.

«Ma no, cosa ti salta in testa, non sono gelosa. È solo che non voglio fare figure. E poi è come ti ho detto, è pericoloso. Non farmi dire di più, perché non posso.»

Per tutta risposta lui si mise a cantare, con un sorrisetto irridente:

O pássaro que você pensou tomar / Bateu das asas e voou / O amor é muito longe, mas você pode alcançá-lo / Não o espere: ele está aqui!

Di portoghese la Giusi capiva soltanto “do Sul” per via del Rio Grande. A questo punto avverrebbe uno stallo, ma in questi racconti l’azione si muove a un ritmo incalzante, degno di Hellzapoppin’. In quel momento, pertanto, stava arrivando Camillo, con fare minaccioso. Si fermò vicino a Carmen e con parole che sarebbero state fumose per chiunque meno che per la Giusi che in fatto di Buoncostume capiva tutte le velate allusioni, reclamò conto dell’inattività e della persona con cui chiacchierava.

Senza essere in possesso di informazioni abbastanza circostanziate, Stenditori commise l’errore più marchiano: aveva in tasca una pistola, la tirò fuori. Anche la Giusi aveva con sé una pistola, quella d’ordinanza. Stenditori ebbe il tempo di minacciarla una volta, poi cadde stecchito dal colpo preciso della Giusi.

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Uno sparo è uno sparo è un sparo. Ma se una ufficiale della polizia di Stato spara un esponente della criminalità organizzata che la minaccia con un’arma, nessuno va troppo a sindacare. Il racket poi era già nel mirino delle indagini. Quello dei travestiti salta, gli altri restano, c’è una specie di gentlemen’s agreement fra polizia e mafia per limitare i rispettivi territori.

Oggi Luís (che non ha pià le tette) vive insieme alla Giusi, anche se due volte all’anno torna a Santa Catalina dalla moglie e dai figli ormai grandi: nessuno sa niente del passato, e del presente sanno che ha trovato lavoro in un’altra officina, fa sempre la notte (così credono), guadagna discretamente e invia parte dello stipendio a casa. La Giusi aspetta il momento buono per fare un bambino e rendere un po’ meno strana la situazione; ma la sua esperienza di uomini è molto più limitata di quella del suo convivente, quindi sta molto attenta a come si muove. E tutti quelli che leggono le righe che ho scritto pensano che stiano vivendo felici e contenti, il che può essere vero come può essere falso, e in ogni caso di solito non dura.
Paolo Brera

Il veleno degli altri, l’ultimo noir di Paolo Brera – GUARDAblank

 

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Paolo Brera

Paolo Brera è nato nel secolo scorso, non nella seconda metà che sono buoni anche i ragazzini, ma nell’accidentata prima metà, quella con le guerre e Charlie Chaplin. Poi si è in qualche modo trascinato fino al terzo millennio. Lo sforzo non gli è stato fatale, ma quasi, e comunque potete sempre aspettare seduti sulla riva del fiume. Nella sua vita ha fatto molti mestieri, che a leggerne l’elenco ci si raccapezza poco perfino lui: assistente universitario di quattro discipline diverse (storia economica, diritto privato comparato, eocnomia politica e marketing), vice export manager di un’importante società petrolifera, consulente aziendale, giornalista, editore, affittacamere e scrittore. Ha pubblicato una settantina di articoli scientifici o culturali, tradotti in sei lingue europee, due saggi (Denaro ed Emergenza Fame, quest’ultimo pubblicato insieme a Famiglia Cristiana), due romanzi e una trentina di racconti di fantascienza, sei romanzi e una decina di racconti gialli, più un fritto misto di altri racconti difficili da definire. Negli ultimi anni si è scoperto la voglia di tradurre grandi autori, per il piacere di fare da tramite fra loro e il pubblico italiano. Questo ha voluto dire mettere le mani in molte lingue (tutte indoeuropee, peraltro). Il conto finora è arrivato a quindici. Non è che le parli tutte, ma oggi c’è il Web che per chi lo sa usare è anche un colossale dizionario pratico. L’essenziale è rendere attuali questi scrittori e i loro racconti, sfuggire all’aura di erudizione letteraria che infesta l’accademia italiana, e produrre qualcosa che sia divertente da leggere. Algama sta ripubblicando le sue opere in ebook, a partire dalla serie dei romanzi con protagonista il colonnello De Valera.

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