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Libero: ecco il thriller che racconta la vera storia di William Vizzardelli, il mostro di Sarzana

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La storia del serial killer bambino che beffò anche il Duce rivive ne La Logica del Burattinaio, di Rino Casazza e Daniele Cambiaso, e conquista i lettori di Libero: un’intera pagina sull’ebook

libero logica

Dal quotidiano Libero, l’intervista integrale agli autori:

Di lui le tracce si sono perse nella memoria. Eppure fu l’unico serial killer adolescente, peraltro italiano, capace di dannare l’anima a tutta la polizia dell’epoca, prendendosi gioco delle indagini e delle forze dell’ordine del fascismo: Giorgio William Vizzardelli. Ora la sua vicenda viene raccontata in un thriller travolgente, La logica del Burattinaio, un ebook edito da Algama. Una storia scritta a quattro mani da due autori, Rino Casazza e Daniele Cambiaso, che non si sono mai incontrati. Miracoli della tecnologia.

«Lo chaperon del nostro sodalizio ha un nome preciso: Vizzardelli, il Mostro di Sarzana» dice Casazza. E rammenta Cambiaso: «All’inizio del 2013, contattai Rino perché avevo letto che stava lavorando a un romanzo sull’argomento. All’epoca mi stavo interessando al personaggio e al suo caso perché mi affascina capire come potesse funzionare la giustizia in quel periodo tanto travagliato. Ne nacque uno scambio di idee e opinioni che portò Rino alla proposta di collaborare alla stesura della storia. Da quel momento, siamo andati avanti a scambiarci materiali e idee grazie a Internet e a lunghe chiacchierate al telefono».

E si tratta di una storia strana, con un serial killer che colpisce tra i 15 e i 17 anni, rimasto a lungo impunito. «Tutto comincia – ricostruiscono i due – il 4 gennaio 1937. Un individuo mascherato si introduce nel Collegio religioso “Le Missioni” di Sarzana, e uccide a pistolettate il Direttore, don Umberto Bernardelli. Nella fuga ferisce a morte il frate portinaio, che fa in tempo a sussurrare ai soccorritori la parola “registro”, inducendoli a mostrargli i registri di classe come se vi volesse rintracciare il nome dell’assassino. Ma il poveretto spira poco dopo, portandosi nella tomba l’informazione. L’omicida ha rubato del denaro, ma viene incriminato un insegnante di sostegno del Collegio, Vincenzo Montepagani, che si sapeva ostile a Bernardelli. Ebbe la sfortuna di essere notato in bicicletta vicino alle Missioni all’ora del delitto. Lo assolvono e scampa alla forca. Il caso resta senza soluzione.

Diciassette mesi più tardi, la notte tra il 19 e il 20 agosto 1938, sul greto del torrente Amola, viene ritrovato un taxi, e due morti ammazzati da numerosi colpi di pistola: un giovane barbiere, Livio Delfini, e il taxista, Bruno Veneziani. La vettura deve aver ospitato un altro passeggero che li ha uccisi. Adoperando due  pistole. Mussolini in persona spinge per trovare subito un colpevole.Tutto inutile. Anzi, nemmeno si collegano i casi. Poi, a dicembre, il dottor Guido Vizzardelli, Direttore del locale Ufficio del Registro ( ricordate la parola che il fraticello agonizzante pronunciò dopo il blitz mortale del 4 gennaio 1937?) va dalla polizia di Sarzana a denunciare l’irreperibilità del figlio diciassettenne. All’alba successiva l’ingresso dell’Ufficio del Registro sarzanese si trasforma nel set di un film dell’orrore: da sotto il portone esce un rivolo rosso che si deposita sul marciapiede ghiacciato: sangue. La macabra traccia porta al cadavere del custode, il settantacinquenne Giuseppe Bernardini,  ucciso  con un colpo di accetta, che ha ancora piantata nel cranio. Dalla cassaforte dell’ufficio, trovata aperta ma non scassinata, manca un’ingente somma. Neanche il portone mostra tracce di scasso. Solo il povero custode e il dottor Vizzardelli possedevano la chiave del portone. La polizia va a casa di quest’ultimo, dove nel frattempo il “figliuol prodigo” è ricomparso.

Giorgio William è nella sua cameretta, immerso in un sonno stordito frutto di una sbornia. Viene svegliato e interrogato, mentre inizia una perquisizione della stanza. Vi si trova una copia di “Delitto e castigo”di Fëdor Dostoevskij, sottolineata al passo dove il protagonista, Raskol’nikov, uccide la sua anziana padrona di casa colpendola con un’ascia alla testa… Come se non bastasse, Giorgio William custodisce una collezione di pistole. Quando la polizia invita il padre di William a esibire le chiavi della cassaforte, che teneva nella tasca della giacca, la trovano sporca di una  sostanza appiccicosa che proviene dalla distilleria artigianale del figlio. Di lì a poco il ragazzo crolla, e la sua confessione getta nell’incredulità l’intera nazione. William  era studente “esterno”del Collegio delle Missioni, dove frequentava il ginnasio. L’autore della spedizione punitiva del 4 gennaio 1937 era lui. Il giovane, allora quindicenne, aveva voluto vendicarsi di un’umiliazione subita dal Direttore del collegio. Poco prima delle vacanze natalizie don Bernardelli l’aveva schiaffeggiato, incolpandolo ingiustamente  di alcuni atti di vandalismo. Aveva sparato  al portinaio per timore di essere riconosciuto.

William frequentava il barbiere Livio Delfini, di qualche anno più grande. Delfini aveva capito che  l’omicida delle Missioni era lui, e lo ricattava. Voleva metter le mani sulla somma sparita dall’ufficio di don Berardinelli, di cui William si era appropriato per simulare una rapina. Per attirare l’amico in una trappola mortale, aveva finto di volerlo condurre al luogo dove aveva nascosto la refurtiva per consegnargliela. Delfini si era presentato all’appuntamento sul taxi di Guido Veneziani. William aveva dovuto ucciderli entrambi. Similmente, il vecchio custode dell’Ufficio del Registro aveva rappresentato un ostacolo nella rapina alla cassaforte. Il bottino sarebbe dovuto servire per una fuga oltreoceano, nel regno mitico di Al Capone, dove il ragazzo contava di far fortuna». Sembra la trama di un film. Invece è tutto vero e viene rievocato nella de La Logica del Burattinaio, dove i delitti di Vizzardelli vengono emulati da un copycat, un serial killer che però è manovrato da una misteriosa voce: quella del Burattinaio. Tra passato e presente, il romanzo è un continuo scavare nella mente dello psicopatico, mostrando che anche la follia segue una sua “logica”.

Quanto al vero Vizzardelli, la cui vita e le cui famigerate imprese si fondono nella trame, che fine fece?

«Al processo prese l’ergastolo. Era il 1940 e solo la minore età lo salvò dalla forca. Su di lui scese l’oblio, complice la guerra. Uscì in libertà vigilata nel 1968, dopo quasi trent’anni di carcere. Non rilasciò dichiarazioni né interviste. Cinque anni più tardi gli fu concessa la grazia. E pochi giorni dopo averla ottenuta si ammazzò piantandosi una forbice in gola. Il movente reale dei suoi delitti nessuno lo ha mai scoperto».

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