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La Mela, il Trifoglio e la Maxi-Multa

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Apple e l’Irlanda fanno un accordo fiscale ultravantaggioso per l’impresa, Ma la Commissione europea dice che sono aiuti di Stato e vanno restituiti. La cifra? 13 miliardi di euro

 

apple

 

La cifra fa venire il capogiro: 13 miliardi di euro. Eppure per chi li deve tirar fuori, quei soldi, non sono poi così tanti. Si parla della Apple, un’impresa globale. Per chi li deve ricevere, lo Stato sovrano dell’Irlanda, sono 2.700 euro per ciascun abitante, uomo donna o bambino: di che costruire centomila case popolari o finanziare per un anno il sistema sanitario nazionale. Per fare un confronto: la capitalizzazione di mercato della Mela è tre volte il pil del Trifoglio

Il debito, secondo la terza dramatis persona, che è la Commissione Europea, sorge perché l’Irlanda ha troppo favorito la Apple sul piano della tassazione. Il Paese è in pratica un paradiso fiscale. Se un’impresa ha sede in Irlanda, sui suoi utili paga il 12,50%, meno della metà rispetto a quello che pagherebbe in altri Paesi dell’Ue. E fin qui va bene. Gli altri s’incazzano ma non possono farci niente, rientra nei diritti degli irlandesi di prelevare poco dagli utili. A livello europeo non c’è armonizzazione delle tasse, e la concorrenza in questo campo è un fatto della vita.

Con questo po’ po’ d’incentivo, molte imprese multinazionali hanno messo una sede in Irlanda. Solo le americane sono più di 700, con 140.000 dipendenti. I problemi cominciano quando un colosso come Apple non si accontenta e vuole un accordo speciale. Sicché il CEO Tim Cook alza l’IPhone e chiama Enda Kenny, il taoiseach (primo ministro irlandese). Cook parla e Kenny ascolta. Perché Apple è grande e potente. Sicché la Mela ottiene dal Trifoglio un trattamento fiscale su misura. Di fatto, sui profitti paga lo 0,05%. Un sogno.

Il vantaggio, per gli irlandesi, è che Apple crea occupazione di qualità; in più il fatto che sia in Irlanda attira anche altre imprese. Ma secondo la Commissione, un simile taglio di tasse for the rest of us configura un aiuto di Stato, perché ce l’ha solo la Mela e non anche tutte le altre aziende. Quindi adesso Apple deve restituirlo, cacciando 13 miliarducci.

Contro la decisione protesta non solo Apple, che mentendo come un ministro dice che non c’è stato nessun accordo, ma anche Dublino. Non li vuole mica, quei soldi. E anche se l’opposizione mette in croce il governo – i soldi sono soldi, e quelli Gesummaria sono bei soldi – la linea resta quella, e il Paese fa ricorso a Strasburgo contro la decisione europea. È in gioco, si dice, la reputazione dell’Irlanda: il Paese non fa accordi fiscali ad personam con interlocutori cazzuti.

Balle. Li fa eccome, gli accordi. Di fronte a una Apple, che ha da parte 234 miliardi di liquidità contro i 238 miliardi del pil irlandese, il Trifoglio fa più o meno la figura di una repubblica delle banane. Questa non è botanica, è la globalizzazione, bellezza. Senza l’Europa, farabutts’ agreement dello stesso tipo sarebbero molto comuni, e le tasse non sarebbero for the rest of us ma solo per la gente normale. Quella che non ha come interlocutori i primi ministri ma solo qualche scherano di Equitalia o dei suoi equivalenti nei vari Paesi.

Paolo Brera

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Paolo Brera

Paolo Brera è nato nel secolo scorso, non nella seconda metà che sono buoni anche i ragazzini, ma nell’accidentata prima metà, quella con le guerre e Charlie Chaplin. Poi si è in qualche modo trascinato fino al terzo millennio. Lo sforzo non gli è stato fatale, ma quasi, e comunque potete sempre aspettare seduti sulla riva del fiume. Nella sua vita ha fatto molti mestieri, che a leggerne l’elenco ci si raccapezza poco perfino lui: assistente universitario di quattro discipline diverse (storia economica, diritto privato comparato, eocnomia politica e marketing), vice export manager di un’importante società petrolifera, consulente aziendale, giornalista, editore, affittacamere e scrittore. Ha pubblicato una settantina di articoli scientifici o culturali, tradotti in sei lingue europee, due saggi (Denaro ed Emergenza Fame, quest’ultimo pubblicato insieme a Famiglia Cristiana), due romanzi e una trentina di racconti di fantascienza, sei romanzi e una decina di racconti gialli, più un fritto misto di altri racconti difficili da definire. Negli ultimi anni si è scoperto la voglia di tradurre grandi autori, per il piacere di fare da tramite fra loro e il pubblico italiano. Questo ha voluto dire mettere le mani in molte lingue (tutte indoeuropee, peraltro). Il conto finora è arrivato a quindici. Non è che le parli tutte, ma oggi c’è il Web che per chi lo sa usare è anche un colossale dizionario pratico. L’essenziale è rendere attuali questi scrittori e i loro racconti, sfuggire all’aura di erudizione letteraria che infesta l’accademia italiana, e produrre qualcosa che sia divertente da leggere. Algama sta ripubblicando le sue opere in ebook, a partire dalla serie dei romanzi con protagonista il colonnello De Valera.

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