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UKtopia: fantascenari dopo la Brexit

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british ship

Da oggi la Manica è più lunga. La Gran Bretagna ha sparato una cannonata e ha deciso di andarsene. Un po’ meno della metà dei britannici votanti non è d’accordo sul fatto di diventare tutti extracomunitari, ma deve subire. Molti di più se ne pentiranno in futuro, ma ormai è troppo tardi. Il paese che si è tenuto fuori dall’euro ma non abbastanza da sfuggire del tutto alla crisi globale partita da oltreoceano nel 2008, la nazione che ha sempre vissuto l’Europa a una certa distanza, preda di nostalgia di un impero naufragato più di settant’anni fa, si esibisce nel suo estremo atto di hybris. Lo avevano già chiamato Independence Day, solo che adesso gli alieni sono loro.

Extra. Extracomunitari.

Il che vuol dire per esempio, visto che i popoli capiscono solo la lingua del calcio (in tutti i sensi) che il giocatore di punta della nazionale gallese e del Real Madrid, Gareth Bale, anche se bianco, da questo momento è un extracomunitario: potrebbe anche essere uno di quei ragazzi di colore che corrono su un campo da football e che i tifosi razzisti di una squadra avversaria possono allegramente apostrofare in modo indegno. O quelli che invece di giocare al pallone vendono souvenir non richiesti su un lungomare. Non c’è bisogno di avere la pelle nera per essere extracomunitari. Cioè quelli che, a detta di molti, verrebbero a rubarci il lavoro e andrebbero rimandati al loro paese con il foglio di via.

L’Europa ha ricevuto un duro colpo. Gioiscono i movimenti xenofobi, nazionalisti, totalitaristi, bianco-supremazisti. A Parigi, Marine Le Pen stapperà una bottiglia di champagne. A Mosca, Putin ne aprirà una di spumante ucraino, spostando qualche carro armato sulla sua mappa del Risiko. A Lisbona, la borsa precipita come non capitava da vent’annni. A Madrid il primo ministro ad interim Mariano Rajoy (le nuove elezioni in Spagna sono questa domenica), rassicura: nei rapporti con il Regno Unito, principale partner economico della Spagna, tutto resterà uguale… per i due anni necessari a completare l’uscita britannica dall’Unione. A Londra lo scrittore britannico Maxim Jakubowsky commenta su Facebook: «Questa non è la Gran Bretagna in cui i miei nonni materni giunsero nel primo Novecento per sfuggire ai pogrom in Crimea, né la Gran Bretagna che diede riparo a mio padre dopo che ebbe combattuto in Spagna dalla parte sconfitta, con le Brigate Internazionali, contro il fascismo. Questa è una Piccola Bretagna.»

La Brexit è la vittoria dell’ala destra dei conservatori britannici, che in questo modo abbatte il proprio primo ministro, costringendolo alle dimissioni. Autorottamazione, da parte dell’ex sindaco di Londra e probabile nuovo primo ministro Boris Johnson, una via di mezzo tra Boris Eltsin e Donald Trump (si distingue dal primo perché è ancora vivo e dal secondo perché non ha i capelli arancioni). Prepariamoci, perché Trump, anche lui sostenitore della Brexit, se vincerà le elezioni USA a colpi di populismo destrorso, potrebbe essere l’arbitro della politica mondiale dei prossimi cinque-dieci anni. La Brexit è solo l’inizio.

È la vittoria dell’estrema destra, che ha tra i suoi sostenitori anche persone comuni come Thomas Mair, l’assassino della parlamentare laburista europeista Jo Cox il 16 giugno 2016, in piena campagna referendaria. Per la cronaca, quando ha ucciso non ha urlato «Allahu akbar!», ha gridato «Britain First!» Quindi, sulla carta, non è un terrorista. Infatti ha vinto anche lui, nella sua cella in attesa di giudizio.

È il trionfo del populismo sulla democrazia: basta illudere abbastanza persone, basta fare promesse infondate di libertà, indipendenza e grandeur, basta insinuare timori sugli immigrati e sugli europei del sud che rubano il portafogli del nord… e il gioco è fatto. Oltre al regalo di un venerdì nero alle borse internazionali – che si profila paragonabile a certe giornate del 2008 e ha portato la sterlina a livelli che non conosceva dagli anni Ottanta – si pongono problemi nei rapporti economici tra i paesi europei, nei rapporti con gli europei che vivono e lavorano in Gran Bretagna e, viceversa, in quelli dei britannici con i paesi europei che li ospitano: solo in Spagna sono circa un milione, benché molti degli anglo-residenti siano a favore della Brexit… ma forse non hanno fatto i conti con la svalutazione della sterlina, che abbasserà il loro tenore di vita nei paesi dell’euro.

La britannica rocca di Gibilterra, la cui stessa esistenza dipende dai cinquemila lavoratori spagnoli che varcano la frontiera ogni giorno da La Linea, è in una grave crisi: ha votato compatta al novantasei per cento per restare in Europa, ma altri hanno deciso al suo posto. La Spagna potrebbe fare pressione per farsela restituire una volta per tutte, una questione cui ha rinunciato solo per amore dell’Europa unita, anche se l’esistenza di Gibilterra le ha creato una montagna di problemi.

Già che ci siamo, proviamo a vedere un po’ di altri scenari possibili come conseguenza del voto britannico. Il grande spauracchio per gli inglesi, diffuso attraverso i social network, era il possibile ingresso nell’Europa della Turchia, che a quanto pare andava bene per fare il lavoro sporco di noi europei con i profughi, ma nient’altro.

Quanto agli immigrandi di Calais, ora resteranno in Europa, ovvero in Francia… fino a quando non nascerà un fiorente commercio di trasporto clandestino di stranieri su zattere e gommoni sopra la Manica. Sarà un massacro, ne moriranno molti, come nel Mediterraneo e forse di più, ma una certa percentuale riuscirà a filtrare lo stesso. Tuttavia quello ormai non sarà un nostro problema, solo una questione tra extracomunitari. Toccherà alla Royal Navy decidere se organizzare l’equivalente sul Channel dell’Operazione Mare Nostrum o lasciar annegare i naufraghi.

Intanto Scozia e Irlanda del Nord stanno premendo per andarsene dal Regno Unito e tornare in Europa: l’Ulster potrebbe riunirsi con l’Eire, ponendo fine al controsenso anacronistico del dominio inglese… e se qualcuno dice di no, si potrebbero riprendere gli scontri con le truppe d’occupazione britanniche, come quaranta-cinquant’annni fa. La Scozia chiede già un secondo referendum per l’indipendenza, con maggiori probabilità di ottenere quel sì che non è stato raggiunto al tentativo precedente. Ma in quel momento significava uscire dall’Europa. Ora la Scozia si è espressa in massa per restarci. Be’, se non le sarà permessa la separazione, vorrà dire che gli scozzesi torneranno a tingersi il volto con i colori di guerra e bagneranno i campi verdeggianti di sangue inglese, come ai vecchi tempi.

Il Kingdom cesserebbe di essere United. Potrebbe essere un buon momento perché se ne vada anche il Canada, che forse comincia a essere un po’ stanco di essere suddito della regina. Sarebbe di esempio per l’Australia e la Nuova Zelanda. L’Inghilterra, sempre più isolata, sempre più piccola, sempre meno imperiale, resterebbe da sola a cercare di difendere i propri interessi minerari in Africa, insidiati da decenni dall’espansionismo economico cinese. Ma qualcuno ci guadagnerebbe. Qualcuno ci guadagna sempre. Gli inglesi diverrebbero preda facile di una destra sempre più estrema, con scenari alla V for Vendetta.

Nel frattempo l’estremismo nazionalista che serpeggia in Europa invoca referendum antieuropei: già succede in Francia e in Olanda. Chi rimarrà nell’Unione dovrà tenersi stretto alla Germania, che peraltro, sotto molti aspetti, è una delle cause dei problemi. Ma, sull’onda scozzese, esploderebbe la moda del separatismo. Persino la Lega Nord potrebbe rispolverare l’indipendenza dello stato immaginario che ha battezzato Padania. Nella penisola iberica, la Catalogna già da tempo vuole rendersi indipendente dalla Spagna: uscire dall’Europa, dall’euro, dall’area Schengen per dare poi sfogo a mire espansionistiche sulle aree che sta cercando di colonizzare da quasi quarant’anni (Aragona, Valencia, Baleari): benvenuti alla Seconda guerra civile spagnola, a ottant’anni dalla prima.

Il malcontento è sempre un ottimo propellente per la demagogia e la dittatura che vi si nasconde dietro. Hitler insegna. Basta solo trovare un nemico (a quei tempi gli ebrei, oggi l’Europa, gli immigrati, i profughi) e si possono convincere le folle a trascinare milioni di innocenti nei campi di sterminio. Il miglior modo per abbattere la democrazia, dopotutto, è usarne gli strumenti per rivolgerla contro se stessa. Così inglesi, francesi, olandesi, qualche scandinavo e qualcuno nell’est europeo impareranno di nuovo a marciare al passo dell’oca, stringendo un patto con Mosca. Ne avranno bisogno. Anche perché inglesi e francesi potrebbero avere qualche problema con le componenti non proprio purosangue della loro popolazione: molti stranieri o figli e nipoti di stranieri, sentendosi discriminati ed esiliati negli strati più bassi della società, potrebbero per reazione decidere di radicalizzarsi, passando sotto la bandiera dell’ISIS, che conoscerà pertanto una nuova primavera. Parigi rimpiangerà i bei tempi in cui c’erano solo tre stragi l’anno. Marine Le Pen stapperà altro champagne, perché Humphrey Bogart e Ingrid Bergman non fecero in tempo a berlo tutto quando i nazisti entrarono a Parigi nel 1940.

In questo lato del continente abbiamo conosciuto più di settant’anni di pace. È stata l’Unione Europea a evitare che a casa nostra si creassero situazioni come nei Balcani alla dissoluzione della Jugoslavia o come ultimamente in Ucraina. Oggi siamo un po’ più vicini a scenari di totalitarismo e di guerra da cui qualcuno senz’altro trarrà vantaggio. Una visione troppo apocalittica? Mi auguro di sì. Intanto la Banca d’Inghilterra sborsa cifre da capogiro in sterline e l’Europa fa lo stesso in euro per contenere i danni: nell’aria aleggia l’odore della Repubblica di Weimar. Qualcuno ci guadagna sempre. Ma non saremo noi.

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Andrea Carlo Cappi

Andrea Carlo Cappi, nato a Milano nel 1964, vive da anni tra l'Italia e la Spagna. È uno dei più attivi scrittori italiani di letteratura di genere, spaziando fra thriller, avventura e fantastico. Dal 1993 ha pubblicato cinquanta titoli fra narrativa e saggistica e più di un centinaio di racconti. È anche traduttore di numerosi bestseller dall'inglese e dallo spagnolo e ha curato varie edizioni italiane dell'agente 007. Ha scritto i racconti e romanzi del "Kverse", l'universo thriller che riunisce le serie "Nightshade" (da Segretissimo Mondadori, firmata a volte con lo pseudonimo François Torrent), "Medina" (Il Giallo Mondadori, Segretissimo Mondadori) e "Black" (Cordero Editore). Sono riapparsi di recente in libreria "Medina-Milano da morire" (Cordero), "Nightshade-Obiettivo Sickrose" (Cento Autori), cui si aggiungono le novità "Black and Blue" e "Back to Black" (Cordero). Algama Editore (www.algama.it) sta pubblicando in ebook parecchi titoli editi e inediti di questo ciclo: "Malagueña", "Dossier Contreras", il serial "Missione Cuba", "Black Zero", "Black and Blue". Cappi ha dato vita anche a una saga horror-erotica con il romanzo "Danse Macabre-Le vampire di Praga" (Anordest). Ha collaborato al serial di RadioRAI "Mata Hari" e ai fumetti di "Martin Mystère", personaggio cui ha dedicato racconti e romanzi originali, tra cui "L'ultima legione di Atlantide" (Cento Autori). Ha scritto poi quattro romanzi originali con protagonisti Diabolik ed Eva Kant, ora ripubblicati da Excalibur/Il Cerchio Giallo. Per Algama è autore dell'ebook "Fenomenologia di Diabolik", saggio autorizzato sul Re del Terrore e il suo mondo in tutte le loro declinazioni, ora riproposto in un volume illustrato a colori da Edizioni NPE. Sono disponibili in ebook anche il saggio "Le grandi spie" (Vallardi), il mystery "Il gioco della dama" (dbooks.it), le storie erotiche de "La perfezione dell'amore" (Eroscultura) e il racconto fanta-erotico "Nuova carne" scritto a quattro mani con Ermione (Eroscultura); con lei Cappi ha pubblicato inoltre per Algama gli ebook "Tutto il ghiaccio del mondo" e "Cosplay". Gestisce con Giancarlo Narciso il webmagazine Borderfiction.com e con Fabio Viganò il blog "Il Rifugio dei Peccatori".

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