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L’autopsia smentisce la confessione di Veronica Panarello

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Le rivelazioni del settimanale Oggi, in edicola dal 14 gennaio, che ha mostrato la perizia autoptica a due luminari della medicina legale: il racconto della mamma di Loris non è credibile

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È rimasta in carcere 11 mesi, negando in tutti i modi di aver ucciso suo figlio. Poi, due giorni prima dell’udienza preliminare, dopo aver letto le motivazioni con cui la Cassazione le negava la scarcerazione, Veronica Panarello è crollata. Ha cambiato versione: non ha mai accompagnato a scuola Loris. Il bimbo è morto in casa, si è strangolato giocando con le fascette. Lei, presa dal panico, avrebbe portato il cadavere giù per le scale per poi caricarlo in macchina e portarlo fino al canalone. Lo avrebbe appoggiato su un muretto. Da dove sarebbe caduto fratturandosi il cranio. La Procura crede che l’abbia ucciso lei prima di occultarne il cadavere. Il suo legale ha chiesto il rito abbreviato e ora il caso è nelle mani degli psichiatri. Ma secondo l’autopsia le cose possono essere andate diversamente.

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Le incongruenze

Il medico legale Giuseppe Iuvara, che l’ha stilata per conto della Procura, ha scritto che Loris è morto per un’asfissia da strangolamento, con un’agonia durata 3-4 minuti. Le ferite alla testa sono avvenute in limine vitae, letteralmente “sul finire della vita”. Ma cosa significa esattamente? È prima della morte o anche dopo la morte? Il dottor Iuvara indica per le ferite in limine vitae da «punta e taglio» sul collo un periodo «breve», ossia che «tali lesioni si collochino in un periodo di tempo immediatamente successivo all’aggressione mortale mediante strangolamento». E quando passa a descrivere la frattura cranica sostiene che va considerata in maniera analoga. Sì, ma «breve» quanto? Secondi o minuti?

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I dubbi degli specialisti

Si tratta di un passaggio estremamente delicato, per una ragione molto precisa: se il limine vitae si allunga diversi minuti dopo la morte, allora la confessione di Veronica può essere veritiera. Ma se invece è contemporaneo alla morte o successivo di soli pochi secondi, allora la versione della Panarello non è credibile.

Abbiamo mostrato la perizia autoptica ad alcuni autorevoli medici legali, chiedendo lumi esclusivamente sulla finestra temporale, in medicina, del limine vitae. Per la dottoressa Valentina Vasino, «il liminae vitae è un concetto per lo più utilizzato per giustificare la presenza di lesioni vitali prodotte dopo la morte. Sarebbe quindi quell’intervallo di tempo subito dopo la cessazione del battito nel quale si potrebbero produrre lesioni vitali. Biologicamente è un concetto insostenibile, ma se si potesse dimostrare, avrebbe comunque una durata di pochi secondi». Possibile? Le cose sono andate dunque diversamente da come raccontato da Veronica? Ecco l’opinione di un altro anatomopatologo di fama, Lorenzo Varetto: «Il concetto dilimine vitae è esattamente quello che risulta dalla traduzione: la fine della vita. Si tratta di quella situazione in cui, per cause disparate, l’attività cardiaca si sta spegnendo; se in questa fase vengono prodotte lesioni traumatiche, esse mostreranno segni modesti ed incerti di reazione vitale.  In caso di morte da causa violenta la fase definibile come limine vitae è comunque breve o brevissima». Conclude il dottor Varetto: «Se le lesioni in limine vitaeprecedono la morte, esse devono essere state prodotte in casa, non c’è scampo».

Ma se, per contro, Loris si è fratturato il cranio cadendo nel canalone, significa che è stato strangolato lì e si aprirebbero nuovi scenari: il professor Nello Balossino, docente di Elaborazione di Immagini all’Università di Torino, nell’analizzare i video delle telecamere davanti a casa Stival per conto della difesa, scrisse che non si poteva affermare che la persona che rientrava in casa quella mattina fosse la stessa persona uscitane 49 secondi prima, ossia Loris.

Il 7 febbraio 2015 Veronica, intercettata in carcere, disse ai famigliari: «Se dovessero dirmi di confessare qualunque cosa pur di vedere il piccolo (Diego,l’altro figlio della Panarello ndr)… non prendetelo come un tradimento, ma io lo farò!… Se loro dovessero dirmi ti portiamo il bambino, però tu devi dire qualcosa, confessa… glielo dico…».

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Gli interrogativi aperti

Alla fine restano aperti alcuni interrogativi. Come mai lo zainetto del bambino non è stato mai ritrovato? È possibile che, isolata e stremata da undici mesi di carcere preventivo, convinta di non avere speranze, stia confessando il falso pur di evitare l’ergastolo? Di fronte a discrasie del genere e a un delitto così feroce, oltre alla perizia psichiatrica, in corso in questi giorni, non sarebbe il caso che il giudice nominasse anche un perito terzo per fare finalmente luce sulla morte del bambino?

Edoardo Montolli per Oggi

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Edoardo Montolli

Edoardo Montolli, giornalista, è autore di diversi libri inchiesta molto discussi. Due li ha dedicati alla strage di Erba: Il grande abbaglio e L’enigma di Erba. Ne Il caso Genchi (Aliberti, 2009), tuttora spesso al centro delle cronache, ha raccontato diversi retroscena su casi politici e giudiziari degli ultimi vent'anni. Dal 1991 ha lavorato con decine di testate giornalistiche. Alla fine degli anni ’90 si occupa di realtà borderline per il mensile Maxim, di cui diviene inviato fino a quando Andrea Monti lo chiama come consulente per la cronaca nera a News Settimanale. Dalla fine del 2006 alla primavera 2012 dirige la collana di libri inchiesta Yahoopolis dell’editore Aliberti, portandolo alla ribalta nazionale con diversi titoli che scalano le classifiche, da I misteri dell’agenda rossa, di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti a Michael Jackson- troppo per una vita sola di Paolo Giovanazzi, o che vincono prestigiosi premi, come il Rosario Livatino per O mia bella madu’ndrina di Felice Manti e Antonino Monteleone. Ha pubblicato tre thriller, considerati tra i più neri dalla critica; Il Boia (Hobby & Work 2005/ Giallo Mondadori 2008), La ferocia del coniglio (Hobby & Work, 2007) e L’illusionista (Aliberti, 2010). Il suo ultimo libro è I diari di Falcone (Chiarelettere, 2018)

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