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La vera storia di Valentin Frrokaj, l’ergastolano albanese ucciso a Rodano

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CARCERI: SEGANO SBARRE CELLA,2 ALBANESI EVADONO A PARMA

 

 

Viale Corsica, Bresica, 22 luglio 2007. Valentin Frrokaj è alla guida di una Bmw. Dall’altra parte arriva un’Opel Frontera guidata dal ventiseienne Michel Rasa. Sono entrambi albanesi. Le auto si incrociano. Uno dei due doveva dare la precedenza. Chi, non si sa. Ma è andata bene. Nessuno scontro, solo il rumore dei freni sull’asfalto. Potrebbe e dovrebbe essere finita così. Ma qualche tempo dopo, questione di minuti o di qualche ora, Valentin e Michel si ritrovano per caso nello stesso bar, sempre lì, in viale Corsica. E Valentin ha ancora il sangue alla testa. Riconosce l’automobilista. E partono subito sberle e pugni. Qualcuno li divide: è un amico di Michel, Elton Llaho. Dice ai due di star calmi, di non piantare casini nel bar. L’indomani possono discuterne con calma al Parco Gallo. Ma non sa ancora che ha appena firmato la propria condanna.

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L’omicidio

Il giorno dopo Elton accompagna Michel e pensa di sistemare tutto per il meglio. Valentin arriva invece con un trentottenne, Ded Ndreu. Tutti e quattro albanesi. I primi due vogliono parlare. Gli altri no. Sono armati di coltello. Perché Valentin non ha mai amato discutere. Preferisce i fatti. Dall’Albania è scappato con una condanna sulle spalle a 7 anni e 6 mesi per tentato omicidio: aveva sparato a un uomo che riteneva avesse “disonorato” la sua famiglia. E allora per uno così pure una precedenza può diventare una questione di vita o di morte. Al Parco Gallo non attende molto prima di agire. Michel prende due fendenti, ma si salverà. Elton, il ragazzo che pensava di poterla risolvere a parole e di salvare l’amico, resta a terra con quattro coltellate. Morirà dopo sedici giorni di agonia. All’inizio si pensa ad un regolamento di conti tra spacciatori. Anche perché, vai a pensare che per una questione di viabilità di possono scappare quasi due morti. Ded lo prendono a fine settembre nel bresciano. Valentin ad Albenga, ospite da tre giorni a casa di un connazionale. La sua piccola vacanza estiva finisce nel carcere di Savona, con l’accusa di omicidio volontario. Gli scattano la foto segnaletica. E lui sorride, quasi fosse un segno di sfida. Gli investigatori lo ritengono un piccolo boss. Piccolo, ma pericoloso: nella casa di Albenga hanno trovato coltelli, passamontagna, guanti in lattice e altri arnesi. Si pensa lavori, scrivono le cronache locali, nel “ramo” delle rapine in villa. E mai previsione fu più azzeccata. Anche se all’epoca, nessuno sa ancora quanto. Al processo, marzo 2009, se Ded se la cava con dieci anni per il solo ferimento di Michel, la Corte d’Assise condanna Valentin all’ergastolo. Lui dalla gabbia applaude: «Grazie giudice». E scoppia a piangere.

Le evasioni

In galera, a Parma, sta fermo qualche anno. Poi conosce Taulant Toma, 29 anni, altro rapinatore albanese che nessuno riesce a tenere fermo: proprio nel 2007 Taulant è infatti evaso dal carcere di Terni. È lui a convincerlo che da una prigione italiana si può andar via se si è furbi e svelti. Come nei film. Il piano va a segno il 2 febbraio 2013: tagliano le sbarre, si calano dalla finestra con un lenzuolo e scavalcano il muraglione di cinta. Come nei film. E una decina di persone addette alla sicurezza finisce nei guai. Uno smacco. Qualche giorno più tardi vengono intercettati dalle forze dell’ordine alla periferia di Milano, a bordo di una macchina rubata a Piacenza. Ma riescono a sgusciar via ancora. E stavolta si dividono: Valentin lo arrestano ad agosto, a Vignate. Taulant, più scaltro, che aveva deciso di cambiare aria, lo fermano a Liegi, in Belgio. Nemmeno il tempo di scambiarsi i complimenti tra colleghi e ministeri che, in attesa dell’estradizione, Taulant scappa anche dal carcere di Lantin, grazie a tre uomini armati capaci di prendere in ostaggio un agente e di organizzare un diversivo con un’esplosione mentre altri detenuti, dall’interno, facevano una piramide umana per far scavalcare Taulant oltre la cinta. Da allora nessuno l’ha più visto. Chissà l’invidia e la rabbia di Valentin, che ora viene spedito a Palermo, al Pagliarelli. Dura, da mandar giù. E infatti non la manda giù per niente. Pensa anzi che se è evaso una volta, può andarsene una seconda con lo stesso sistema. Detto fatto, eccolo fuggire il 7 maggio 2014: sbarre della cella tagliate e giù con un lenzuolo dal lato di via Regione Siciliana. Quando se ne accorgono, si alza anche l’elicottero in cielo. L’allarme recita: si cerca uomo con jeans e maglietta bianca. Che a Palermo, a tarda primavera, è come cercare l’ago in un pagliaio.

L’assalto di Rodano

Di lui non si sa più nulla fino all’altra sera, quando s’infila dentro la saracinesca del garage del gioielliere di Rodolfo Corazzo, appena giunto in scooter. È con altri due. Incappucciato, guanti sulle mani: gli stessi ferri del mestiere trovati ad Albenga. E ha una pistola, con matricola abrasa. Perquisisce Corazzo, ma non si accorge che nella giacca, regolarmente autorizzata, anche il gioielliere ha una pistola: «Grazie a Dio avevo un’arma addosso – dirà Corazzo-  se non ero armato ci avrebbero uccisi, ne sono certo». Difficile dargli torto. Corazzo è in casa con la moglie e la loro bimba. Gli prendono ori, gioielli e contanti. Gli aprono la cassaforte. Gli afferrano una seconda pistola che sta nel caveu. Ma vogliono altro. Inutile dire di no, che non c’è più niente. Insistono. E minacciano. Il gioielliere dirà: «Hanno cercato di intimidire anche mia figlia che ha 11 anni, l’hanno portata al piano di sopra e le hanno detto “se tuo papà non ci dice dove sono i soldi gli taglieremo le dita”».

L’incubo dura un’ora e mezza. Quando Corazzo teme che tutto sia perduto, in un momento in cui sono chiusi in una stanza, estrae l’arma. E spara un colpo sul muro a scopo intimidatorio. Fossero ladri comuni fuggirebbero. Fossero rapinatori accorti, andrebbero via comunque. Ma Valentin non è mai cambiato. Rispondono al fuoco e mica per intimidire. Proprio contro Corazzo. Ma lo mancano. Lui spara altri due colpi alla cieca. Non sa di aver colpito Valentin. Nella fuga dal garage i tre saltano sulla Cinquecento di famiglia e sfondano la saracinesca. Due spariscono. Valentin non ce la fa. Stramazza al suolo. Stavolta per sempre. La Procura cerca i riscontri al racconto del gioielliere. E ci vuol poco per definire la sua azione come legittima difesa. Ora è caccia ai complici.

Edoardo Montolli per Gqitalia.it

 

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Edoardo Montolli

Edoardo Montolli, giornalista, è autore di diversi libri inchiesta molto discussi. Due li ha dedicati alla strage di Erba: Il grande abbaglio e L’enigma di Erba. Ne Il caso Genchi (Aliberti, 2009), tuttora spesso al centro delle cronache, ha raccontato diversi retroscena su casi politici e giudiziari degli ultimi vent'anni. Dal 1991 ha lavorato con decine di testate giornalistiche. Alla fine degli anni ’90 si occupa di realtà borderline per il mensile Maxim, di cui diviene inviato fino a quando Andrea Monti lo chiama come consulente per la cronaca nera a News Settimanale. Dalla fine del 2006 alla primavera 2012 dirige la collana di libri inchiesta Yahoopolis dell’editore Aliberti, portandolo alla ribalta nazionale con diversi titoli che scalano le classifiche, da I misteri dell’agenda rossa, di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti a Michael Jackson- troppo per una vita sola di Paolo Giovanazzi, o che vincono prestigiosi premi, come il Rosario Livatino per O mia bella madu’ndrina di Felice Manti e Antonino Monteleone. Ha pubblicato tre thriller, considerati tra i più neri dalla critica; Il Boia (Hobby & Work 2005/ Giallo Mondadori 2008), La ferocia del coniglio (Hobby & Work, 2007) e L’illusionista (Aliberti, 2010). Il suo ultimo libro è I diari di Falcone (Chiarelettere, 2018)

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