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I 100 delitti di Milano / Quando uccisero Giorgio Ambrosoli

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In esclusiva su Fronte del Blog un capitolo dell’ultimo libro di Andrea Accorsi e Daniela Ferro I 100 delitti di Milano (NewtonCompton): il killer venuto dall’America, sul delitto Ambrosoli

 100delittiMilano

Il killer venuto dall’America 

 

«Questa è la cronaca di una morte annunciata. Una vicenda la cui realtà supera ogni fantasia». Così la pubblica accusa, rappresentata dal PM Guido Viola, al processo per l’omicidio di Giorgio Ambrosoli. E davvero la morte del legale che il governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, aveva nominato liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, è stata una morte annunciata, come pure una vicenda ai confini della realtà.

Fin da quella nomina, l’avvocato Giorgio Ambrosoli sapeva di essere un facile bersaglio. Troppi e ingombranti gli interessi in gioco, nel più ingente crac della storia della finanza italiana: quello della rete di banche e società che facevano capo al finanziere di Patti (Messina), tanto abile quanto spregiudicato nel servirsi di quelle banche per appropriarsi dei depositi all’insaputa dei clienti. Sindona, di fatto, usava denari non suoi per accantonare o investire gli utili come meglio credeva, alla stregua di un portafogli personale, e mettere invece in bilancio i passivi. In questo modo arrivò a disporre di una enorme liquidità e ad estendere quello che venne definito il suo impero fino agli Stati Uniti.

È su una mole di illeciti bancari e di vorticosi passaggi di denaro per somme da capogiro che Ambrosoli fu chiamato a far luce, in seguito all’insolvenza record della Banca Privata Italiana, pari a più di cinquecento miliardi di lire. Un compito difficile e scottante, che esponeva l’avvocato milanese al rischio di ritorsioni anche violente. Da tempo, prima di finire vittima dei sicari spediti al suo domicilio dallo stesso Sindona, Ambrosoli riceveva minacce, sia per telefono che per lettera. Perfettamente consapevole di rischiare la vita, in una sorta di testamento morale spedito alla moglie subito dopo aver assunto l’incarico che gli sarebbe costata la vita, l’avvocato scriveva: «Qualunque cosa succeda tu sai cosa devi fare e sono certo che saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi (Ambrosoli era padre di tre figli, che a quel tempo avevano dodici, otto e sei anni, nda) e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto».

 L’intervista agli autori del libro I 100 delitti di Milano- LEGGI

Giorgio Ambrosoli
Giorgio Ambrosoli

Per cinque anni Ambrosoli condusse la sua missione, terminata nel marzo del 1979 con la consegna ai giudici di una esaustiva relazione sulla liquidazione della Banca Privata Italiana: sei volumi di quattrocento pagine ciascuno. Grazie al suo lavoro fu possibile tra l’altro recuperare dal crac ben 249 miliardi, più gli interessi maturati negli anni sui crediti che la BPI vantava all’estero. Furono così rimborsati interamente i creditori privilegiati, altri (i cosiddetti chirografari, non assistiti cioè da cause di prelazione) nella misura del 74 per cento e i risparmiatori dal 7 all’8%. Risultati eccezionali, che Sindona non gli avrebbe mai perdonato.

Pochi mesi dopo, nella notte tra l’11 e il 12 luglio, quattro colpi di pistola ponevano fine alla vita del coraggioso avvocato mentre stava rincasando, in via Morozzo della Rocca, a due passi da Santa Maria delle Grazie. Ambrosoli aveva appena accompagnato a casa alcuni amici con i quali aveva trascorso la serata. Tredici minuti prima della mezzanotte, parcheggiata l’«Alfetta» sotto la sua abitazione, fu avvicinato da un killer a pochi passi dal portone d’ingresso. L’uomo estrasse una pistola e gli sparò al petto quattro colpi di P38 da brevissima distanza.

Giorgio Ambrosoli aveva allora 46 anni. Il suo destino si era legato indissolubilmente con quello di Sindona, le cui spericolate operazioni finanziarie gli avevano procurato ispezioni e denunce già dalla prima metà degli anni Settanta. All’epoca della prima condanna per violazione delle leggi bancarie, Sindona aveva lasciato l’Italia alla volta degli Stati Uniti. Sarebbe stato rimpatriato solo nel 1984, dopo quasi dieci anni di latitanza. Per estradare il finanziere siciliano, nel frattempo condannato anche oltreoceano, dovette essere ratificato un nuovo trattato tra Roma e Washington, con un apposito protocollo aggiuntivo.

Prima di allora, una commissione parlamentare d’inchiesta italiana (quella sulla P2) si era recata a New York per interrogare Sindona su diverse vicende di malaffare finanziario e politico, oltre che sull’assassinio di Ambrosoli. In quella occasione, Sindona si disse estraneo a tutte le accuse che gli venivano contestate e bollò l’omicidio dell’avvocato come «un atto di viltà». Eppure il collegamento tra il finanziere e l’omicidio di Ambrosoli emerse con chiarezza dalle indagini compiute dalla Polizia italiana insieme alla Guardia di Finanza e all’FBI. Quelle indagini permisero di additare Sindona come mandante del delitto, mentre l’esecutore materiale venne identificato in un pregiudicato italoamericano, William Joseph Aricò, 43 anni, con precedenti per omicidio e rapina, ritenuto un killer professionista al servizio della mafia italoamericana.

Arrestato a New York l’8 dicembre 1979, Aricò evase nell’agosto seguente. Nuovamente fermato negli USA per infrazioni valutarie, aveva documenti perfettamente falsificati e la fisionomia alterata dalla barba che si era fatta crescere. Così non venne riconosciuto e, dal momento che la sua posizione non appariva grave in relazione ai reati contestati, fu rilasciato. La sua latitanza terminò nel 1982 a Filadelfia, nell’abitazione di una figliastra. In casa aveva un arsenale: un mitra, pistole, giubbotti antiproiettile.

Per assoldare Aricò con il compito di recarsi a Milano ad uccidere Giorgio Ambrosoli, erano bastati 15.000 dollari. A mettere in contatto Sindona con il killer era stato un altro pregiudicato italoamericano, il cinquantottenne Robert Venetucci.

Giunto in Italia l’8 luglio del 1979, Aricò entrò in azione dopo aver pedinato l’avvocato milanese per tre giorni. Una volta portata a termine la sua missione di morte, telefonò a Venetucci per comunicargli che l’ordine era stato eseguito e rientrò subito in America.

Il nome del killer sarebbe forse rimasto avvolto nel mistero se un detenuto, compagno di cella di Aricò, non avesse raccolto una sua confidenza, girandola agli investigatori. In una intervista il figlio di Sindona, Nino, affermò che le persone incaricate dal padre avevano il solo scopo di minacciare Ambrosoli e non di ucciderlo. Il finanziere in persona ribadì in giudizio di non avere «alcun motivo per prendere una simile decisione». Ma i giudici che lo processarono furono di tutt’altro avviso.

Accogliendo le richieste dell’accusa, la prima Corte d’Assise di Milano condannò Sindona e Venetucci all’ergastolo, il primo come mandante e il secondo come intermediario tra lo stesso Sindona e l’esecutore materiale, William Aricò. Quest’ultimo, al momento della sentenza, era già morto, dopo essere precipitato, il 19 febbraio 1984, dal tetto della prigione nella quale era detenuto negli Stati Uniti, durante un tentativo di fuga.

Nelle motivazioni della condanna, i giudici scrissero che Sindona era «pienamente consapevole del ruolo decisivo che Ambrosoli aveva svolto per anni esternando più volte ai dirigenti della Banca d’Italia la propria ferma opposizione a soluzioni che non fossero rispettose degli interessi pubblici in gioco». E aggiunsero che «già da molto tempo Sindona coltivava il progetto di una azione violenta nei confronti di Ambrosoli».

 

Michele Sindona
Michele Sindona

Dopo quindici anni di carcere scontati in Italia in isolamento, nel 1998 Robert Venetucci venne trasferito negli USA. Quanto a Michele Sindona, reagì alla solita maniera, cioè contrattaccando tutto e tutti. «Io credo in Dio – dichiarò in una intervista rilasciata a Enzo Biagi poche ore dopo la sentenza – e soltanto a lui dovrò rendere conto al momento del trapasso. Se avessero voluto rendere giustizia, mi avrebbero assolto». Due giorni dopo la condanna al carcere a vita, la mattina del 20 marzo 1986, Sindona fu trovato agonizzante nella sua cella del supercarcere femminile di Voghera (Pavia), del quale era l’unico detenuto maschile. Aveva appena fatto colazione. Insieme al caffè, aveva ingerito del cianuro. Dopo due giorni di coma, l’ormai ex finanziere spirò.

Mentre non venne mai chiarita la provenienza del veleno, l’inchiesta sulla morte di Sindona affermò con certezza che si era trattato di un suicidio, attraverso la simulazione dell’omicidio. L’ennesima messinscena di un uomo che alla falsità aveva improntato tutta la sua vita.

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ommenti

  1. Eboli. Lunedì11 maggio 2015, ore 17:30; organizzato dall’Associazione “Giorgio Ambrosoli”, sezione di Salerno e col patrocinio morale del Comune di Eboli: giornata in memoria di Giorgio Ambrosoli. Messa in luce di una targa commemorativa apposta nel largo Giorgio Ambrosoli.

    Organizzata dall’Associazione “Giorgio Ambrosoli”, sezione di Salerno, presieduta dal dott. Raffaele Battista, Capo di Gabinetto presso la Questura di Salerno, coadiuvato dal segretario dell’associazione, avv. Pasquale D’Aiuto e col patrocinio morale del Comune di Eboli, Lunedì11 maggio 2015: giornata in memoria di Giorgio Ambrosoli anche con la messa in luce di una targa commemorativa apposta nella piazzetta intitolata a Giorgio Ambrosoli.
    Il vero Paese, ebbe a scrivere Giorgio Ambrosoli, “è quello che ci costruiamo con il nostro lavoro”. Un paese, oggi come forse sempre, in laboriosa costruzione proprio dagli “operai della cultura” Parliamo degli italiani, di ogni sesso ed età, che ogni giorno, con ogni professione o mestiere, ciascuno per la propria parte (che sia piccola, o grande), lavorano per fare sì che l’Italia non sia soltanto il Paese della fuga di cervelli e dell’ingresso gratuito per quanti, non trovando indirizzi di lavoro in un territorio dove il lavoro lo ha perso chi lo aveva (a marzo il tasso di disoccupazione è salito di 0,2 punti percentuali, arrivando al 13%. ISTAT), rischi di divenire la futura manovalanza della camorra.
    Lunedì 11 maggio 2015, alle ore 17:30, la manifestazione in Eboli, nell’ambito del nuovo Largo Giorgio Ambrosoli (alle spalle della centralissima Chiesa di San Bartolomeo), una cerimonia in memoria dell’Avv. Giorgio Ambrosoli, barbaramente ucciso, l’11 luglio 1979, in Milano, all’ancora verde età di 45 anni. Ambrosoli è stato un avvocato italiano, assassinato l’11 luglio 1979 da un sicario americano, che nell’ucciderlo si scusò. Ingaggiato, secondo l’ottica più comune, dal banchiere siciliano Michele Sindona (nato a Patti, piccolissimo centro siciliano e definito al suo paese “l’avvocaticchio”), sulle cui attività Ambrosoli aveva indagato, giungendo a chiare e oramai definite considerazioni, nell’ambito del proprio incarico di Commissario Liquidatore della Banca Privata Italiana, in crisi finanziaria. Sua certa e unica colpa dunque: l’aver voluto adempiere, con onestà e diligenza, all’incarico di Commissario Liquidatore della Banca Privata Italiana. In merito Giulio Andreotti dichiarò:«è una persona che in termini romaneschi “se l’andava cercando”», chiarendo successivamente di avere soltanto voluto: «fare riferimento ai gravi rischi ai quali il dottor Ambrosoli si era consapevolmente esposto con il difficile incarico assunto». La manifestazione in due momenti: al mattino, alle 9.30, nell’Auditorium del Liceo Classico, cortesemente messo a disposizione dal preside, dott. Giovanni Giordano, la proiezione del film di Michele Placido “Un eroe borghese”, destinata agli studenti degli istituti scolastici superiori di Eboli. Nel pomeriggio alle 17.30 la messa in luce di una targa commemorativa apposta nel largo alle spalle della Chiesa di San Bartolomeo, intitolato proprio a Giorgio Ambrosoli. Tra l’altro, il Dott. Raffaele Battista ricorda al pubblico presente la figura dell’Avvocato Ambrosoli e la Dott.ssa Filippi ha il compito di leggere la struggente e profetica lettera lasciata alla moglie Anna.
    Per l’Associazione “Giorgio Ambrosoli, Salerno” presenti il Presidente, Dott. Raffaele Battista, Capo di Gabinetto presso la Questura di Salerno ed il Segretario, Avv. Pasquale D’Aiuto che menziona in tal senso:- “L’Avv. Giorgio Ambrosoli, ucciso l’11 luglio 1979, pur se in un clima di ansia e di tensioni molto forti, anche di carattere politico, aveva chiuso la sua inchiesta e ci si attendeva da lui che sottoscrivesse il 12 luglio 1979 una dichiarazione formale. Fu dunque messo in condizione di non farlo. E’ indispensabile che la sua figura venga ricordata, particolarmente alla fascia giovane della società, perché sia d’esempio”- In Milano, il 12 luglio 1999, Ambrosoli fu insignito, ovviamente alla memoria, della Medaglia d’oro al valor civile, secondo la legge del 2 gennaio 1958, nata allo scopo di: «premiare atti di eccezionale coraggio che manifestano preclara virtù civica e per segnalarne gli autori come degni di pubblico onore». in quanto:-“Commissario liquidatore di un istituto di credito, benché fosse oggetto di pressioni e minacce, assolveva all’incarico affidatogli con inflessibile rigore e costante impegno. Si espose, perciò, a sempre più gravi intimidazioni, tanto da essere barbaramente assassinato prima di poter concludere il suo mandato. Splendido esempio di altissimo senso del dovere e assoluta integrità morale, spinti sino all’estremo sacrificio”. Occorre tuttavia rimarcare che, nonostante le minacce di morte, ad Ambrosoli non fu accordata alcuna protezione da parte dello Stato. L’Italia dovrebbe preservare i suoi “eroi” facendo sì che restino vivi e non ricordarne la memoria da morti. Si diviene eroi morendo? Ma il nostro Paese, pur certamente orgoglioso dei suoi eroi caduti per il dovere, ha sicuramente altrettanto bisogno di persone, fiere del loro principio di onestà e disponibili a battersi fino alla morte per conservarlo, che però restino vive e possano realizzarlo ogni giorno, senza timore. Ricordiamo che altre strade sono state intitolate a Giorgio Ambrosoli, tra le quali a Milano, la strada che collega via “De Amicis”, con il grande rondò della via dedicata a Falcone e Borsellino, inaugurata a suo tempo con la presenza di Umberto Ambrosoli, a Salerno, con il “LARGO GIORGIO AMBROSOLI, Via Torrione, altezza n. 90. Per cui l’istanza dell’Associazione Giorgio Ambrosoli Salerno fu premiata dal Comune , che mostrò la consueta sensibilità istituzionale, facendo sì che la prima grande città del Sud ricordasse l’Eroe Borghese.”
    Una città italiana, però, sembra che a suo tempo non abbia voluto dedicare una strada a Giorgio Ambrosoli: Pistoia. Il comune toscano, a richiesta inoltrata dall’associazione culturale Cipes (Centro d’iniziativa politica, economica e sociale), avrebbe risposto attraverso la Commissione toponomastica dell’epoca, archiviandola con la motivazione che “il nome proposto fosse di rilievo non locale”. Ad Eboli, invece, Nel pomeriggio dell’11 maggio 2015, viene scoperta una targa commemorativa apposta nella piazzetta alle spalle della Chiesa di San Bartolomeo, intitolata proprio a Giorgio Ambrosoli. La cittadinanza è stata invitata dal Comune, a partecipare alla manifestazione. Bianca Fasano

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