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Cronaca Vera ricorda la strage di Brindisi

A pochi giorni dalla sentenza su Giovanni Vantaggiato, Cronaca Vera n.2124, in edicola da martedì 14 maggio, ricorda la strage di Brindisi, avvenuta un anno fa. Cronaca Vera n.2124

Ore 7,45, 19 maggio 2012, Brindisi. L’autobus proveniente da Mesagne si ferma davanti all’istituto professionale Francesca Laura Morvillo Falcone, in via Galanti, nei pressi del tribunale. Alcune ragazze scendono e arrivano all’ingresso. Non fanno in tempo ad accorgersi di nulla: tre bombole di gas piazzate su un muretto vicino ad un cancello secondario, e collegate ad un timer, esplodono. Melissa Bassi, 16 anni, muore dilaniata. Altre cinque restano ferite, ma si salveranno. Si diffonde il panico. Il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, dice che tutte le ipotesi investigative sono aperte. Il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri attacca: «Non vi è dubbio che l’attentato di Brindisi, per il gravissimo e diffuso allarme che ne è seguito, possa prestarsi a una lettura in chiave terroristica». Si dice che deve trattarsi di un esperto di esplosivi. E quindi si ipotizza anche un movente mafioso: quello siciliano, perché quattro giorni più tardi sarà l’anniversario della strage di Capaci, in cui la Morvillo e Falcone morirono. E, ancor di più, quello della Sacra Corona Unita. Ma che questa sia una storia strana lo si capisce subito. Perché mai i terroristi o i mafiosi, che cercano il consenso sociale, dovrebbero fare uno sciagurato attentato in una scuola? E infatti non ci sta nessuno a passare per mostro. Dalla gabbia in cui è processato, Alfredo Davanzo, imputato come presunto ideologo delle nuove Br, dice: «Noi non siamo terroristi, non ammazziamo i bambini come a Brindisi». E una lettera con la stella a cinque punte arriva all’Ansa di Ancona: «Non sono certo gli studenti o i lavoratori i nostri obiettivi». E pure i boss non ci stanno. Pino Rogoli, considerato il capo della malavita salentina, lo definisce in aula un «fatto inaudito, un atto infame». Sua moglie, al Tgcom, va oltre: «È da escludere un coinvolgimento della Sacra Corona Unita nella vicenda di Brindisi. Non l’hanno mai fatto e non lo faranno mai. Siamo genitori, abbiamo figli e nipoti e non faremmo mai una cosa del genere». Di più. Il caposcorta del pm Milto De Nozza viene avvicinato da Raffaele Brandi, ritenuto uno dei capi dell’organizzazione criminale pugliese. Il quale, non usa mezzi termini: «Dite al procuratore che se li prendiamo noi gli attentatori, ce li mangiamo vivi, è questo il messaggio». Troppo vile anche solo ipotizzarlo. Cronaca Vera- strage di Brindisi

E infatti, l’attentatore non sa né di mafia né di terrorismo. È un imprenditore innamorato del suo yacht, il panfilo d’epoca Ale Bopp, di dodici metri e tre cabine, l’unico oggetto da non vendere nella rovina economica che se lo sta portando giù. Si chiama Giovanni Vantaggiato, 68 anni. E le telecamere di sicurezza di fronte alla scuola lo hanno inquadrato mentre azionava il radiocomando della bomba: immagini un po’ sfuocate, dove pare avere un problema ad un braccio. Tanto che all’inizio lo hanno scambiato per un altro, un ignaro elettrotecnico del luogo che ha rischiato il linciaggio. Fortunatamente, di telecamere in zona ce n’è in abbondanza: altre hanno inquadrato due auto, una sua, usata la mattina del 19, e una di sua moglie, la notte. A bordo, sempre lui. Vantaggiato. I dati vengono incrociati con le celle telefoniche. Lo chiamano e vedono che somiglia all’uomo del filmato. Lo interrogano e crolla: «Ce l’ho col mondo». E spiega. Dice che ha fatto i soldi col gasolio, poi la metanizzazione della zona ha fatto calare il lavoro. Sostiene di aver subito angherie, ingiustizie. E pure una truffa per oltre 300mila euro da certo Cosimo Parato, condannato in primo grado per questa ragione. Gli fanno presente che anche Parato ha passato qualche problema: qualcuno ha piazzato una bomba nel cestino della sua bicicletta, causandogli danni permanenti. Va be’, sì, in effetti, risponde, l’attentato a Parato l’ho messo in piedi io. Quando in aula, un anno più tardi, gli chiedono perché abbia compiuto un crimine tanto orrendo, risponde che non era soddisfatto della sentenza su Parato. Era infuriato col tribunale, ma là era impossibile mettere bombe: troppe telecamere. Così, ecco l’idea. «La scuola era vicino al tribunale. L’atto l’ho fatto perchè subivo questa truffa e non avevo avuto giustizia». E l’ha fatto di giorno, per dare scalpore, ma senza, giura, pensare di fare del male. «Mi dispiace tanto, – dice in lacrime- io chiedo perdono alla famiglia Bassi». E come ha imparato a costruire esplosivi? «Tramite l’enciclopedia, alla voce “N”, nitrati, a pagina 72». La richiesta di perizia psichiatrica è stata respinta. In questi giorni è attesa la sentenza.

Gigi Montero

 

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