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L’attacco terroristico dell’11 settembre 2001: tutta una messinscena? (Parte seconda)

La seconda parte della nostra inchiesta sulla teoria del complotto dell’11 settembre. Dai crolli troppo veloci all’edificio che non doveva cadere

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(qui la prima parte)

CROLLI TROPPO VELOCI

I milioni di spettatori incollati al video in quell’incredibile mattina di 18 anni fa ricordano l’enorme impressione che fece il franare  su se stesse, una dopo l’altra, delle Twin Towers.

A più d’uno, d’istinto, tornarono in mente le immagini, spettacolari, di costruzioni fatte collassare in modo rapido e indolore con cariche esplosive opportunamente dosate  e posizionate al loro interno.

Le c.d. “demolizioni controllate”.

Una sofisticata tecnica ingegneristica basata sul principio che se si fanno venir meno, in contemporanea, i punti critici della struttura portante di un edificio, questo rimarrà soggetto solo alla forza di gravità, e si affloscerà a terra.

L’impressione di “demolizione controllata” che suscitò il crollo delle Twin Towers non ha tardato a divenire un cavallo di battaglia della teoria del complotto.

L’idea di partenza è che l’impatto degli aerei suicida contro le Torri non sarebbe stato sufficiente a abbatterle.

Non a caso esse erano state progettate, previdentemente, per resistere allo scontro col più grande aereo di linea esistente all’epoca della costruzione (non molto più piccolo di un boeing 757 del 2001), e se ne dimostrarono capaci: dopo lo schianto dei due velivoli kamikaze la mattina dell’11 settembre sia la Torre Nord che la Torre Sud traballarono, ma rimasero in piedi.

Per abbatterle, sarebbe stato necessario il colpo di grazia dell’esplosione, successiva all’impatto degli aerei,  di una serie di cariche sistemate di nascosto in un tempo precedente, secondo i canoni delle “demolizioni controllate”.

 

Prima di entrare nel merito della questione, avvincente quanto complessa, mi si passi una considerazione.

 

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I sostenitori della versione ufficiale (con termine vagamente ironico, se non addirittura spregiativo, vengono definiti “debunkers”,  ovvero “smontatori”, e di certo non possono essere troppo simpatici, se demoliscono ipotesi affascinanti…) si appellano, in modo assai persuasivo, all’”eccesso ingiustificato di offesa”.

Se il complotto mirava, come si dice, a precostituirsi un pretesto di aggressione militare nella Penisola Araba, non era più che sufficiente la drammatica scena delle Torri indifese penetrate come burro dai boeing kamikaze?

Rincarare la dose col loro crollo sembra una complicazione superflua.

I complottisti ribattono che la caduta delle Twin Towers come castelli di carte ha contribuito a sollecitare l’indignazione e l’orgoglio americano, e lo stupore e la solidarietà dell’opinione pubblica mondiale nei confronti degli U.S.A.

 

Veniamo all’ ipotesi di “demolizione controllata” delle Twin Towers.

E’ intuitivo che minare ad hoc edifici così grandi rappresenti un’operazione complessa, richiedente una nutrita squadra di artificieri agli ordini di uno staff qualificato di ingegneri.

 

Tutta gente che, poi, deve essere convinta a tacere, con la minaccia o il denaro.

Inoltre, dover effettuare il posizionamento delle cariche in edifici abitati da migliaia di persone senza farsi accorgere appare un’impresa di particolare difficoltà.

“Accontentarsi”, insomma, di lanciare due aerei contro le Torri continua a sembrare preferibile.

Comunque, ad oggi, non si hanno prove serie che, nei giorni precedenti all’attentato, qualcuno abbia provveduto a minarle.

Potrebbe essere così perché i misteriosi cospiratori hanno fatto le cose a regola d’arte, ma quest’ ipotesi, al massimo, vale tanto quella che nessuno abbia messo cariche per la demolizione controllata dentro le Twin Towers.

Infatti, i complottisti tendono a lasciare impregiudicato il problema di come e quando possa essere avvenuta la predisposizione delle cariche esplosive, concentrandosi su quella che ritengono la “pistola fumante” del complotto: l’evidenza, risultante dai filmati in mondovisione, della demolizione controllata delle Torri.

Tutto ruota intorno ai tempi di caduta degli edifici.

Troppo rapidi, secondo i complottisti.

A frantumarsi al suolo le Twin Towers ci avrebbero messo praticamente tanto quanto un grave che precipita dalla stessa altezza.

Il che è impossibile, in quanto un edificio in crollo verso il basso incontra la resistenza delle parti sottostanti, perciò rallenta.

Mazzucco batte questo tasto con insistenza, non solo nel documentario citato ma anche in vari confronti radiofonici con Paolo Attivissimo, disponibili su youtube.

 

I sostenitori della versione ufficiale si basano invece sull’indagine condotta dal National Institute of Standards and Technology, agenzia governativa americana specializzata in materia, secondo la quale il crollo delle Torri si spiega con l’eccezionale e pervasivo ammorbidimento (non scioglimento!: troppo elevate  le temperature necessarie per ottenerlo) della struttura in acciaio degli edifici, frutto del calore propagatosi dagli incendi.

La diatriba che ne nasce vede contrapposta la maggioranza della comunità scientifica che si occupa di fisica delle costruzioni e una minoranza dissidente, ma agguerrita.

All’inizio i fautori della demolizione controllata sembravano aver migliori carte perché dai filmati parrebbe, in effetti, calcolarsi un tempo di crollo, fulminante, vicino ai 10 secondi.

Successivi approfondimenti hanno mostrato che la nuvola di fumo del crollo impedisce di determinare con esattezza il momento in cui la cima degli edifici colpisce il suolo, cosicché secondo una stima più prudenziale il tempo di caduta va rivalutato in almeno 15 secondi.

Se questa stima sia compatibile con un semplice crollo gravitazionale, o indichi la necessità di un crollo per demolizione controllata, è il sale della controversia.

Precedenti richiamabili non esistono essendo inusuale, secondo esperienza comune, che un edificio rovini dissolvendosi perfettamente, senza lasciare sul campo pezzi o tronconi.

Ma non è nemmeno mai accaduto che un boeing 757 a pieno carico di carburante si infili, esplodendo, in un grattacielo d’acciaio alto 400 metri…

Ecco perché diventa cruciale, secondo i complottisti, il caso del W.T.C. 7, che ha fatto la stessa fine senza essere colpito da aerei. Di questo ci occuperemo nel successivo paragrafo.

Della demolizione controllata, i complottisti portano come prova anche le testimonianze di soccorritori e sopravvissuti, molti dei quali riferiscono di aver sentito, in contemporanea o poco prima dell’inizio del crollo, rumori di esplosioni.

Sull’attendibilità di tali dichiarazioni, non confermate dal sonoro dei filmati, c’è da dubitare, poiché non possono escludersi scoppi locali causati dai furibondi incendi, o dal surriscaldamento delle strutture in acciaio.

 

Nelle Twin Towers oggetti esplodibili di vario genere ( ad esempio caldaie per il riscaldamento) non mancavano di certo.

Sono finiti nel mirino anche i curiosi sbuffi di polvere che si notano nella struttura delle torri agonizzanti, anche se essi compaiono prima dell’inizio del crollo e comunque si spiegano plausibilmente come getti di polvere e fumo causati dalla compressione dell’aria all’interno degli edifici.

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L’EDIFICIO CHE NON DOVEVA CADERE

Pochi se lo ricordano ma, dopo i crolli rovinosi delle Twin Towers,  nel pomeriggio dell’11 dicembre, nel Word Trade Center di Manhattan, costituito da altri 5 edifici di varie dimensioni, si è accartocciato al suolo anche un grattacielo di dimensioni assai minori, il Salomon Brothers Building, detto  W.T.C.7.

Come mai, se non aveva subito l’impatto di un mastodonte dei cieli carico di kerosene, ma era stato investito solo dai detriti delle Torri in precedenza crollate?

In realtà il crollo del W.T.C.7, in modo analogo alle Torri Gemelle e a distanza di parecchie ore, depone più contro la teoria del complotto che a favore.

Dopo aver raso al suolo la parte più importante e conosciuta del complesso urbanistico, a che scopo provocare la caduta di un terzo edificio minore? Perché tanto accanimento?

L’”eccesso ingiustificato di offesa” è, come abbiamo visto, un argomento forte contro l’ipotesi di “demolizioni controllate”: dopo aver ferito e incendiato in mondovisione gli edifici, perché mai volerli annientare?

La risposta a questo legittimo dubbio, come abbiamo spiegato, è che si voleva  rendere ancor più eclatante l’attacco al cuore di New York.

Bene.

Ma allora perché demolire anche il W.T.C.7, il cui crollo è avvenuto in sordina, senza amplificazione mediatica?

Al punto che molti non se ne ricordano, e la maggioranza  lo considera un mero “effetto collaterale” dell’attacco?

Per di più rafforzando, com’è avvenuto, anche da parte di Massimo Mazzucco, le illazioni sulla natura artificiale dei crolli avvenuti l’11 settembre, che sarebbero stati tutti aiutati, anche quello W.T.C.7, con la tecnica delle “demolizioni controllate”?  

Le riprese televisive del crollo del Solomon Brothers Building, lo mostrano venir giù praticamente a perpendicolo in una decina di secondi, generando una gran nuvola di polvere e fumo.

Un de ja vu, in piccolo, del crollo delle Twin Towers.

La disputa tra i sostenitori della versione ufficiale e quelli della cospirazione verte intorno a una domanda: si sviluppò, all’interno del W.T.C. 7, una temperatura sufficiente per indebolire la struttura portante in acciaio, analoga a quella delle Torri Gemelle, creando così le condizioni per il crollo?

Qui si apre la solita schermaglia.

I  complottisti a sostengono che questo è da escludere per la limitata rilevanza dei danni causati al Salomon Brothers Building dalla caduta dei detriti delle due Torri , e soprattutto per la limitata intensità ed estensione degli incendi all’interno dell’edificio come appaiono nei filmati.

I sostenitori della versione ufficiale ribattono che ci sono immagini inequivocabili di un mostruoso squarcio su una facciata del W.T.C.7 e, soprattutto, foto e testimonianze che questa stessa facciata, non ben visibile nei filmati in quando rivolta verso la più vicina Torre, fu per intero divorata dal fuoco.

 

Una sottile disputa riguarda le sospette dichiarazioni, carpite da una tv, di un responsabile dei vigili del fuoco, che a un certo punto, nel pomeriggio di quel giorno infernale, dopo ore di  lotta disperata contro gli incendi, disse qualcosa come “adesso lo facciamo venir giù”.

Alludeva all’innesco di cariche già posizionate ad hoc nella struttura, o era una dichiarazione di resa, vista l’impossibilità di salvare il Salomon Brothers Building?

Ognuno finisce per pensarla come vuole, anche se le foto della facciata tutta in balia delle fiamme esistono. Naturalmente, si può discettare che questo non basta, e ci vogliono dati certi sul grado di calore raggiunto, ecc ecc.

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Rimane il fatto che, come detto sopra, la demolizione controllata del W.T.C7 sembra senza senso nell’ambito di un complotto che, se avvenne, fu certo attentamente soppesato.

Mazzucco riferisce di teorie secondo cui il crollo del Salomon Brothers Building sarebbe opportunistico, ovvero i cospiratori avrebbero  approfittato della demolizione delle Twin Towers per demolire anche il W.T.C 7 per motivi diversi, come distruggere un archivio compromettente conservato nell’edificio, oppure far lucrare il rimborso assicurativo ai suoi proprietari, in cambio della loro complicità.

Mancano concrete conferme di queste ipotesi dietrologiche oggettivamente forzate.

(continua)

(Vai alla prima parte)

Rino Casazza

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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

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