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L’attacco terroristico dell’11 settembre 2001: tutta una messinscena? (Parte prima)

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Chi non conosce l’attacco a Pearl Harbour?

La Marina giapponese, nel dicembre del 1941, sferrò un’offensiva a sorpresa contro la principale base navale americana nel Pacifico, distruggendola con tutta la flotta in quel momento lì ormeggiata.

L’evento, che provocò l’entrata in guerra degli Stati Uniti, nel dopoguerra ha dato vita, assieme a molti altri della Seconda Guerra Mondiale, come ad esempio la morte di Hitler nel maggio del 1945, o il volo di Rudolph Hess in Scozia nel maggio del 1941, a ipotesi “dietrologiche”, alternative alla versione storicamente accreditata.

Secondo queste ipotesi, dietro l’attacco a Pearl Harbour si nasconderebbe un complotto.

L’U.S. Navy avrebbe saputo in anticipo che i giapponesi preparavano un attacco, rimanendo volutamente inerte per procurare all’amministrazione allora in carica, guidata dal Presidente F. D. Roosvelt, un  pretesto per convincere l’opinione pubblica americana, ancora divisa sulla scelta da compiere, a partecipare al conflitto.

Molti che danno questa lettura dell’attacco di Pearl Harbour lo paragonano all’attacco terroristico dell’11 settembre del 2001, individuando in entrambi la stessa  occulta matrice, la cinica auto-procurazione di un disastro, con grave perdita di vite umane, a scopi di “real-politik” politico militare.

Nel 2001, l’obiettivo sarebbe stato  un’offensiva bellica per conquistare l’Iraq  e impadronirsi delle sue risorse petrolifere dopo averlo falsamente accusato di connivenza con l’attacco terroristico.

L’attentato dell’undici settembre è rimasto impresso nella memoria collettiva per essersi svolto in diretta mondiale, addirittura televisiva per quanto riguarda la distruzione delle c.d.  “Twin Towers” di Manhattan.

La versione ufficiale sostiene che un commando dell’organizzazione terroristica musulmana “Al Quaeda” sia riuscito a dirottare quattro giganteschi aeroplani di linea, partiti da aeroporti della costa occidentale degli U.S.A, mandandone due a schiantarsi contro ciascuno dei grattacieli più alti di New York, nel distretto di Wall Street, e uno contro la sede del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ad Arlington in Virginia; il quarto apparecchio, destinato a colpire il Campidoglio a Washington, è invece precipitato prima di arrivare sull’obiettivo.

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Malgrado la trasparenza assoluta in cui si è svolto l’avvenimento, e il gran numero di testimonianze raccolte dai media, sia di semplici spettatori che di operatori a vario titolo intervenuti nei soccorsi, fin dall’indomani hanno cominciato a diffondersi dubbi sul reale svolgimento dell’attacco.

Dubbi che continuano a resistere anche dopo che si sono conclusi i lavori dell’apposita Commissione d’inchiesta governativa e le indagini promosse dal Congresso degli Stati Uniti, e che sull’argomento sono state condotte numerosissime verifiche e ricerche da parte di istituzioni tecnico-scientifiche indipendenti e facoltà universitarie.

Così su Internet sono oramai innumerevoli le  prese di posizione di singoli e gruppi che considerano la versione ufficiale dell’11 settembre un inganno.

Come per altre “teorie del complotto”, per sostenere la propria tesi questo largo movimento di contro-opinione entra nel merito di complesse problematiche  scientifiche e tecnologiche che l’uomo comune non è in grado di padroneggiare.

E’ accaduto lo stesso, mutatis mutandis, per il c.d. “inganno lunare”, che vede da decenni gli scettici sulla verità delle Missioni Apollo e quanti invece le considerano realmente avvenute dibattere sulle  “fasce di Van Allen”, la protezione termica di veicoli e tute spaziali , l’ottica fotografica e la fisica lunare.

Per quanto mi riguarda, tra tutte le “cospirazioni” in voga, quella sull’11 di settembre mi sembra la più fondata.

Se non altro perché il governo americano e quello inglese, suo alleato, sono stati scoperti ad attribuire tendenziosamente all’esercito iracheno il possesso di armi illegali chimiche e batteriologiche, poi rivelatosi, a guerra contro l’Iraq conclusa e  vinta, un’invenzione.

Non è nemmeno l’unica cospirazione ordita dagli Usa e poi venuta alla luce. Basti pensare all’episodio della Baia dei Porci a Cuba nell’aprile del 1961, in cui il governo americano finanziò e organizzò un tentativo di sbarco sull’isola caraibica da parte di fedeli dell’ex dittatore Batista per rovesciare il regime di Castro.

Per affrontare l’argomento del presunto “complotto delle due Torri” mi servirò di due fonti opposte: il film inchiesta “11 settembre 2001: Inganno globale” di Massimo Mazzucco, fotografo e regista specializzatosi nella divulgazione del “teorie del complotto” attraverso documentari molto elaborati, e il libro “11/9, la cospirazione impossibile”, a cura di Massimo Polidoro, edito dal C.I.C.A.P. (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale), attivo da decenni nella denuncia di falsi scientifici.

Ecco i punti più controversi dell’attacco dell’11 settembre.

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POSSIBILE CHE NESSUNO SE NE SIA ACCORTO?

Nella nostra epoca gli organismi del controspionaggio dispongono di grandi budget,  numeroso personale ottimamente addestrato e sofisticati strumenti.

Stupisce perciò che un’organizzazione terroristica pur agguerrita come Al Quaeda sia riuscita ad aggirare l’apparato di “intelligence” degli Stati Uniti, principale potenza tecnologica e militare del mondo, progettando, avviando e quindi realizzando indisturbatamente un attentato di così lunga gestazione e complessità.

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Un dubbio sensato, anche se secondo logica un’operazione estremamente difficile non va etichettata in sé come impossibile.

Più correttamente va considerata improbabile.

Nella storia umana è capitato che si siano verificate imprese al limite dell’incredibile (ad esempio, la lunga resistenza di un manipolo di spartani alle Termopili, di fronte al soverchiante esercito siriano) o, a rovescio, che imprese date per scontate siano fallite (ad esempio, la vittoria dell’Invincibile Armada spagnola nei confronti della flotta inglese).

Con tutto questo, l’invisibilità del piano di Al Qaeda al controspionaggio americano merita di essere approfondita.

La versione ufficiale racconta che 4 piloti kamikaze mediorientali sono riusciti a infiltrarsi negli Usa addestrandosi al volo su aerei per trasporto passeggeri, e il manipolo dei loro “basisti” sono entrati e rimasti senza problemi in territorio americano, tutti in tranquilla attesa di salire a bordo dei velivoli fatali il giorno prestabilito con un programma di volo meticolosamente studiato e imparato.

Secondo il libro del C.I.C.A.P. questo è, per quanto improbabile, ciò che è accaduto.

Perlomeno, allo stato delle conoscenze, non ci sono elementi per attribuire  tale successo insperato a qualcosa di diverso dalla documentata serie di sottovalutazioni, errori, inefficienze e mancati (o ritardati) scambi di informazioni in cui incorsero gli organismi che vennero a conoscenza di pezzi del piano.

Questa rimane, applicando il famoso “rasoio di Occam” la spiegazione più semplice, e quindi preferibile.

Nel suo documentario, Mazzucco non si sofferma sul periodo di incubazione dell’attacco, preferendo evidenziare le inverosimiglianze presenti nella fase di esecuzione.

Mazzucco chiama in causa in sistema di controllo aereo statunitense, gestito dall’Amministrazione Civile, e il collegato sistema di difesa dello spazio aereo, gestito dalle Forze Armate.

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Tra il momento in cui fu rilevato un comportamento anomalo da parte del primo aereo, tanto da farlo classificare, secondo le procedure vigenti, come “dirottattamento”, e il primo catastrofico impatto sulla Torre Sud del WTC, trascorre troppo tempo, precisamente 25 minuti,  senza che i caccia militari si mettano sulle sue tracce per intercettarlo.

La difesa aerea potrebbe esser rimasta inerte perché, non potendosi immaginare o sospettare che quell’aereo sarebbe andato a schiantarsi contro una delle “Twin Towers”, mancò la percezione dell’emergenza.

Ma dopo il primo schianto?

Allora la gravità della situazione divenne chiara, eppure gli intercettori supersonici della Difesa rimasero ancora a terra.

Forse non sarebbero riusciti a impedire la manovra suicida del secondo aeroplano contro la Torre Sud, avvenuta 17 minuti dopo il suo dirottamento e 17 dopo il primo schianto  ma, salendo in cielo, avrebbero guadagnato tempo per intercettare almeno il terzo aereo, abbattutosi sul Pentagono 39 minuti dopo il suo dirottamento e 34 dopo lo schianto contro la Torre Nord.

Invece, alla fine, i caccia si mossero solo per intercettare il quarto aereo anche se, secondo la versione ufficiale, la rivolta dei passeggeri causò la sua improvvisa caduta al suolo, impedendogli così di insidiare il Campidoglio.

La facilità o meno di un intervento dell’aviazione militare per abbattere gli aerei dirottati prima che raggiungessero il bersaglio origina una lunga e puntigliosa disputa tra il documentario di Mazzucco e il saggio del C.I.C.A.P.

Una valutazione ponderata sui tempi di comunicazione e di reazione, nonché sull’affidabilità dei  metodi di tracciamento radar dei velivoli, a “transponder” acceso o spento, richiede una conoscenza approfondita dei due sistemi di controllo considerati, quello, civile, della navigazione aeronautica  e quello, militare di difesa dello spazio aereo. Inoltre, è necessario conoscere esattamente la velocità di spostamento dei jet militari.

Senza il parere di esperti, non se ne esce.

È un fatto che al settembre del 2001 esisteva solo un precedente di intercettazione di aerei civili da parte di aerei militari nello spazio aereo interno statunitense.

In quell’unico caso il  contatto visivo tra gli intercettori e l’aereo fuori rotta ( poi scopertosi privo di comando per la morte improvvisa dell’intero equipaggio) e la prima segnalazione di anomalia era trascorsa più di un’ora.

Questa notizia pare contraddire l’affermazione, contenuta nel documentario di Mazzucco, peraltro priva di fonte, secondo cui i jet della U.S Air Force sarebbero, al tempo, stati in grado di raggiungere in pochi minuti aerei civili fuori rotta.

Il saggio del C.I.CA.P. si rimette alle risultanze della Commissione d’inchiesta governativa, che poté interpellare e chiedere giustificazioni agli addetti dei due sistemi di controllo, civile e militare, e ai loro responsabili.

Già nel film di Michael Moore “Farheneit 9/11” del 2004 venivano impietosamente messe a nudo l’indecisione e la confusione delle strutture preposte, ben esemplificate dal prolungato, grottesco inebetimento  del presidente Bush dopo che, nella scuola elementare in cui era in visita, gli venne riferita, sotto l’occhio delle telecamere, la notizia dell’attacco.

Approsimazione e caos, sia da parte civile che militare, emergono anche negli atti  della Commissione d’inchiesta, che ha faticato alquanto a ricostruire un timing esatto e condiviso delle varie fasi.

Tuttavia, come si è già anticipato, prove esplicite di complicità tra organismi governativi e terroristi non risultano.

Anche l’elemento più inquietante, segnalato da Mazzucco, ovvero il sincronismo perfetto tra realizzazione di ogni singolo attacco e cambi di rotta degli aerei per portare a termine il successivo, senza che siano state rilevate  comunicazioni tra gli aerei, suggerisce sì che questi ultimi possano essere stati diretti da una regia occulta, ma potrebbero anche essere frutto di una eccellente programmazione ed esecuzione del piano da parte del commando.

Ciò vale anche per la circostanza che tutti e quattro gli aerei dirottati, per depistare il controllo di volo governativo, abbiano inizialmente preso una rotta  che li allontanava parecchio dall’obiettivo, salvo virare all’improvviso verso quest’ultimo.

Sembra un vicolo cieco, infine, dubitare che i poco esperti piloti del commando kamikaze non avessero l’abilità necessaria per condurre i loro aerei con precisione, a bassa quota, nei cieli di Manhattan, né meno che mai quella per colpire con un avvicinamento rasoterra, a velocità elevatissima, uno dei lati del Pentagono.

Una simile supposizione reca con sé una girandola incontrollabile e inverificabile di conseguenze ulteriori.

Si deve infatti spiegare chi altri poté mai effettuare i dirottamenti, e quali motivazioni poterono spingerlo a morire suicida; oppure, nell’evidente inverosimiglianza  di un tale sacrificio da parte di non musulmani radicalizzati , inoltrarsi in un terreno altrettanto incerto come quello di sostenere che non si trattasse degli aerei di linea indicati, ma di altri telecomandati, oppure quegli stessi telecomandati senza equipaggio, con la complicanza di aver dovuto inventare l’identità dei passeggeri dichiarati morti e dei loro familiari, ecc ecc.

In conclusione,  sostenere la chiara evidenza di un complotto nei movimenti degli aerei kamikaze il giorno dell’attacco è azzardato, anche se non lo si può escludere del tutto.

In quest’ultima prospettiva, regge molto di più l’ipotesi di una “complicità passiva”.

“Qualcuno”, sia nella fase di incubazione che in quella di esecuzione dell’attentato, potrebbe aver maliziosamente fatto  in modo, favorendo indugi determinanti, che gli attacchi andassero avanti il più possibile senza una valida reazione.

Naturalmente, resta da identificare questo imprecisato “qualcuno”, dando concretezza all’ipotesi.

(continua)

Rino Casazza

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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

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