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Finita la pacchia per Cesare Battisti

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Alle 11 e 30, all’aeroporto di Ciampino, è atterrato lui. L’assassino, il vigliacco, il fuggitivo.
Il Comunista Cesare Battisti.
Ad aspettarlo poliziotti, funzionari, cecchini e due ministri. Uno dei quali, il capitano coraggioso Salvini, esibisce con vanto la divisa della Polizia di Stato.
Battisti scende dalla scaletta, 65 anni vissuti sull’orlo del confine e del baratro, si guarda attorno spaesato. E’ a casa sua ma forse non la riconosce più. Un agente lo spinge verso il patibolo, lui fa un ghigno, il suo ultimo remissivo ruggito da leone colpito, ferito e ingabbiato.
Il vicepremier sorride, lui dondola con la sua classica andatura incurante verso la sua ultima frontiera.
L’abbiamo preso. Dovrà marcire in galera. E’ finita la pacchia” aveva tuonato Salvini poche ore prima.
Finalmente si farà giustizia nei confronti dell’assassino italiano e compagno di ideale di uno dei governi più corrotti che siano mai esistiti al mondo” rincarava il presidente brasiliano Bolsonaro.
Il primo, dopo i tentati omicidi di Macerata dichiarò “È chiaro ed evidente che un’immigrazione fuori controllo, un’invasione come quella organizzata, voluta e finanziata in questi anni, porta allo scontro sociale.”
Il secondo, in campagna elettorale disse “Preferirei un figlio morto, piuttosto che gay. Ma i miei non corrono questo pericolo, sono stati educati come si deve. Con un padre presente il problema non si pone.”
Loro, i due più agguerriti “cacciatori di taglie”.

Quindi il criminale Battisti, sotto lo sguardo severo del vicepremier e platonicamente del suo alter ego brasiliano, vede la sua infausta esistenza chiudersi definitivamente dietro il cancello del carcere di Oristano, più sicuro di quello di Rebibbia.
Lo aspettano sei mesi d’isolamento diurno. E’ un tipo pericoloso e disarmato, Battisti. Pizzetto ben curato su un volto solcato dalle rughe e da quarant’anni di fughe.
Finalmente l’assassino comunista torna nelle patrie galere” chiosa il vicepremier.

L’Italia si divide tra chi festeggia la fine di un incubo durato troppo a lungo, si schiera accanto ai parenti delle vittime e freme al pensiero di un nuovo miraggio di legalità che si apre all’orizzonte.
L’altra metà si ferma a guardare il vicepremier in divisa, davanti ad un microfono, intento ad urlare un “soprannome per anziani”:
Comunista!”

Cesare Battisti è un criminale, un terrorista, accusato dai giudici di quattro omicidi.
Uno scarto della società ignorato da chiunque tranne, comprensibilmente, dai parenti delle vittime in cerca di un responsabile da condannare. E dal premier che urla, ancora e ancora “Assassino COMUNISTA, torna in galera.”
Comunista, in realtà, Battisti non lo è mai stato se non agli inizi della lotta. Era un furbo, tanto quanto Cavallero. Ha cavalcato l’onda politica e ha scavalcato i confini, e non solo, della legalità.
Salvini lo sa bene, lui anche. Ma se il primo ne sfrutta l’etichetta, il secondo l’asseconda.
Due eroi diversi, in fondo.
Furbi, spregiudicati, leader nell’animo.
Battisti era un finto comunista. Salvini “vesuvio lavali col fuoco”, un nazionalista all’occorrenza.
Ma ci sono quattro morti di mezzo che pesano, com’è giusto che sia.

E’ un paese senza eroi, il nostro.
Anche senza affrontare questioni spinose come processi dalle sentenze discutibili e patrimoni politici volatilizzati.
Restiamo spettatori di una tragicommedia che volge finalmente al termine.
Quantomeno per quel che riguarda l’ammuffita faccenda Battisti.

Alex Rebatto

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Alex Rebatto

Alex Rebatto, classe 1979. Ha collaborato nei limiti della legalità con Renato Vallanzasca ed è stato coautore del romanzo biografico “Francis”, sulle gesta del boss della malavita Francis Turatello (Milieu editore), giunto alla quarta ristampa. Ha pubblicato il romanzo “Nonostante Tutto” che ha scalato per mesi le classifiche Amazon. Per Algama ha pubblicato il noir "2084- Qualcosa in cui credere"

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