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L’aumento Unicredit, una vittoria del sistema bancario

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La ricapitalizzazione di Unicredit è una pietra miliare sulla via del risanamento delle banche italiane. Anche se la Borsa venerdì scorso non ha affatto premiato l’azione

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Il pieno successo dell’aumento di capitale Unicredit è un’ottima notizia per il sistema bancario italiano e per tutta l’economia del nostro Paese. Per le sue dimensioni e la misura della risposta del mercato, l’aumetno ha infatti dimostrato che in giro c’è abbastanza fiducia per tenere in piedi le banche, se mettono mano ai propri affari. La prossima tappa sarà il salvataggio di Stato per Montepaschi.

I 13,5 miliardi della ricapitalizzazione Unicredit rappresentano la più grande operazione di qusto tipo mai realizzata sul mercato italiano, dove il primato precedente apparteneva già a Unicredit (con i 7,5 miliardi del 2012). Solo meno dello 0,2% del capitale ha rifiutato il proprio sostegno. Il risultato è che la banca milanese ha potuto ripristinare i suoi coefficienti patrimoniali, scesi sotto il segno prescritto dopo la maxi svalutazione dei crediti dubbi che ha generato una perdita 2016 di importo paragonabile ai nuovi mezzi rastrellati con l’aumento. Da non sottovalutare neanche le variazioni intervenute nell’azionariato: nonostante gli apporti di Fondazione Crt e Cariverona, il peso delle Fondazioni bancarie è diminuito, mentre è aumentato quello dei fondi di investimento.

All’indomani del successo, la banca (una delle maggiori in Europa) è sulla scena finanziaria con 13 miliardi freschi in più, meno crediti dubbi, un azionariato da public company e un serio piano di rilancio targato Mustier.

Non è l’uncio evento di rilievo della scorsa settimana. C’è almeno un altro fatto importante, più un ragionamento-indiscrezione. E c’è da rilevare, peraltro, anche un evento inaspettato e illogico. Il fatto è che Banca Intesa, l’altra grande banca italiana, ha rinunciato a dare l’assalto alle Assicurazioni Generali, un’azione di cui si era tanto buccinato per tutto il mese di febbraio. Il Consiglio d’amministrazione ha valutato il dossier venerdì e ha deciso ufficialmente per il no. Nel frattempo il Leone di Trieste aveva contrastato comprando il 3,04% delle azioni dell’aggressore, al prezzo di un miliardo. Per le norme sulle partecipazioni incrociate, ciò sterilizza i diritti di voto della quota di Generali posseduta da Intesa, a meno di un’Opa con la conquista della maggioranza. Per le dimensioni di Generali, una simile Opa è di fatto inarrivabile. Non nascerà, quindi, un gruppo italiano paragonabile ai colossi della bancassurance paneuropea. Anche se Generali, non si sa bene a quale scopo, si è nel frattempo portata al 4,492% del capitale.

Il ragionamento, sempre su Unicredit, l’ha fatto il Fatto. Il quotidiano di Travaglio ha parlato di una possibile offerta di Unicredit su Mediobanca, di cui già possiede l’8% cvincolato a un patto di sindacato che scadrà a fine anno. Non è bene chiaro se questa idea sia solo una speculazione intellettuale oppure poggi su qualche indiscrezione. Di sicuro una simile operazione creerebbe grandissime sinergie senza peggiorare gli indici patrimoniali, e per giunta Unicredit entrerebbe nella stanza dei bottoni di Generali, della cui governance Mediobanca è così gran parte.

Resta da rilevare anche una grande illogicità, che non si sa bene come interpretarse.Con i fondamentali migliorati dall’aumento di capitale, il prezzo dell’azione Unicredit sarebbe dovuto salire, trainando tutto il comparto bancario. Macché, il titolo ha ceduto il 2,25%, e il traino è stato all’ingiù.

Come si spiega? Si possono fare tre ipotesi, che però valgono quel che valgono. La prima è che la Borsa ha ragioni che la Ragione non conosce: movimenti irrazionali ce ne sono quanti se ne vuole e può anche volerci parecchio tempo prima che si correggano. Una seconda interpretazione è che qualcuno sappia qualcosa che noi non sappiamo – scegliete pure fra il gruppo Bilderberg o qualche oscuro potentato finanziario. Terza ipotesi: gli speculatori a breve termine aspettavano al varco la fine dell’aumento per vendere e uscire dal titolo. Ma erano in troppi e all’uscita c’è stato un calcapigia da incendio nel cinema, con (metaforici) morti e feriti. Una delle tre potrebbe essere la spiegazione giusta. 

Paolo Brera

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Paolo Brera

Paolo Brera è nato nel secolo scorso, non nella seconda metà che sono buoni anche i ragazzini, ma nell’accidentata prima metà, quella con le guerre e Charlie Chaplin. Poi si è in qualche modo trascinato fino al terzo millennio. Lo sforzo non gli è stato fatale, ma quasi, e comunque potete sempre aspettare seduti sulla riva del fiume. Nella sua vita ha fatto molti mestieri, che a leggerne l’elenco ci si raccapezza poco perfino lui: assistente universitario di quattro discipline diverse (storia economica, diritto privato comparato, eocnomia politica e marketing), vice export manager di un’importante società petrolifera, consulente aziendale, giornalista, editore, affittacamere e scrittore. Ha pubblicato una settantina di articoli scientifici o culturali, tradotti in sei lingue europee, due saggi (Denaro ed Emergenza Fame, quest’ultimo pubblicato insieme a Famiglia Cristiana), due romanzi e una trentina di racconti di fantascienza, sei romanzi e una decina di racconti gialli, più un fritto misto di altri racconti difficili da definire. Negli ultimi anni si è scoperto la voglia di tradurre grandi autori, per il piacere di fare da tramite fra loro e il pubblico italiano. Questo ha voluto dire mettere le mani in molte lingue (tutte indoeuropee, peraltro). Il conto finora è arrivato a quindici. Non è che le parli tutte, ma oggi c’è il Web che per chi lo sa usare è anche un colossale dizionario pratico. L’essenziale è rendere attuali questi scrittori e i loro racconti, sfuggire all’aura di erudizione letteraria che infesta l’accademia italiana, e produrre qualcosa che sia divertente da leggere. Algama sta ripubblicando le sue opere in ebook, a partire dalla serie dei romanzi con protagonista il colonnello De Valera.

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