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Le conseguenze economiche di Trump

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16-02-24-sorry-lavoro

 

A una settimana dall’imprevista elezione di Donald Trump possiamo cominciare una riflessione sulle possibili conseguenze. Lo shock iniziale è passato, dopo aver portato un’altra sorpresa: i mercati finanziari, nel loro complesso, sono saliti, contrariamente alle previsioni della vigilia per il caso di una presidenza Trump. Le conseguenze immediate di qualsiasi evento clamoroso tuttavia non sono mai molto significative. È più importante cercare di capire gli sviluppi di più lungo periodo sull’economia mondiale.

Occorre fare una duplice premessa. Prima considerazione: Trump non ha giurato di dire tutta la verità nient’altro che la verità prima di imbarcarsi nella sua candidatura, quindi potrebbe non provare nemmeno a rispettare le promesse della campagna elettorale. Inoltre bisogna tener presente che i risultati dell’applicazione della sua linea sarebbero comunque influenzati anche da altri fattori. Per esempio Trump ha preannunciato una linea più morbida con la Russia, ma se Putin ne approfittasse per aggredire l’Ucraina, invece di una distensione avremmo una situazione peggiore dell’attuale e ben diversi ne sarebbero i riflessi sull’economia mondiale.

Ipse dixit: “Le mie priorità sono la sanità, i posti di lavoro, il controllo delle frontiere e la riforma delle tasse”. Vediamole una per una.

La sanità (cioè l’abolizione dell’Obamacare, su cui Trump ha già ammorbidito le sue posizioni, dopo l’incontro con Obama) è di rilievo puramente americano, senza ricadute degne di nota sul resto del mondo.

Sotto la voce “posti di lavoro” vanno una serie di possibili provvedimenti in senso neo-protezionista: revocare il Trattato transpacifico, lasciar cadere il Ttip, ridurre a ben poco il Trattato Nordamericano, e fare il viso dell’armi alle importazioni dalla Cina. Trump ha anche parlato contro la Wto, agitando l’idea di un ritiro americano da questa organizzazione che sovrintende al commercio mondiale. Non rimpiangeremo di sicuro il Ttip, ma il Nafta crea un’area di libero scambio che è importante nell’economia mondiale. L’uscita degli Stati Uniti dalla Wto sarebbe un tale disastro che si troverà di sicuro qualche consigliere di Trump per sconsigliarla. Quali che siano le mosse effettivamente intraprese, dalla reazione degli altri Paesi dipende se si scateneranno o meno delle guerre commerciali che sarebbe sicuramente dolorose per tutti. Bisogna anche ricordare che la libertà di commercio è sì un ingrediente importante della crescita economica, ma anche delle dislocazioni sociali cui assistiamo in tutti i Paesi e che vanno sul conto della globalizzazione. Qualche correttivo è necessario. Una libertà negoziata e regolata potrebbe forse non incidere negativamente sulla crescita e attutire o fermare le trasformazioni sociali provocate dalla globalizzazione. Un cammino rischioso ma non necessariamente negativo.

Il “controllo delle frontiere” si riferisce all’immigrazione, sopra tutto a quella dal Messico e dall’America latina. Trump di sicuro non tirerà su il famoso “muro” sul confine meridionale che ha promesso, perché costerebbe 20 miliardi di dollari e l’idea peregrina di farlo pagare ai messicani si potrebbe realizzare solo con una guerra. Allo stesso modo, non saranno certamente sbattuti fuori i dieci milioni di immigranti illegali sul suolo americano: il costo sarebbe ancora più alto e gli Stati Uniti dovrebbero trasformarsi in uno Stato di polizia. Solo che anche passi limitati in questa direzione avrebbero sicure implicazioni economiche negaive per l’America latina.

I tagli fiscali promessi sono potenzialmente dirompenti. Se il mercato dei beni e dei servizi resterà aperto come oggi, l’effetto sarà uno stimolo keynesiano all’intera economia mondiale, perché una parte consistente della domanda aggiuntiva generata in America si dirigerà verso i Paesi che esportano negli Stati Uniti. Da una parte, questo aggraverebbe i problemi di squilibrio che Trump ha dichiarsato di voler affrontare in una sfida all’OK Corral. Dall’altra, verrebbe sempre più alla ribalta il problema di finanziare i deficit cronici del bilancio pubblico e della bilancia dei pagamenti, che potrebbe alla fine scatenare una crisi finanziaria. In qualche momento del futuro ci aspetta al varco la fine del sistema valutario basato sul dollaro: più crescono gli squilibri finanziari degli Stati Uniti, più vicino e potenzialmente più disastroso si farà quel momento.

Infine, esistono le ripercussioni sull’Europa di questo o quel punto, non necessariamente centrale, del programma e dell’atteggiamento di Trump. La distensione con la Russia agirà in senso positivo, ma la richiesta di far sostenere agli europei maggiori spese per armamenti è economicamente più ambigua. La pressione sull’euro in atto fin dall’elezione potrebbe facilmente rovesciarsi nei prossimi mesi, ma in un senso o nell’altro gli effetti sono difficili da prevedere: in un mondo più protezionista, non serve poi tantissimo avere una moneta svalutata.

Già oggi l’elezione di Trump ha accelerato la divaricazione fra i tassi tedeschi e quelli italiani (il famoso spread). Ciò significa che noi italiani paghiamo più carso il denaro che il nostro Stato prende a prestito, anche se molti dei motivi di questa evoluzione sono interni. Infine, la prospettiva di avere Trump dalla sua parte sta galvanizzando la Gran Bretagna della Brexit – e un possibile indebolimento dell’Europa non è affatto positivo né per noi né per l’economia mondiale. L’incertezza continua dunque a regnare.

Paolo Brera
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Paolo Brera

Paolo Brera è nato nel secolo scorso, non nella seconda metà che sono buoni anche i ragazzini, ma nell’accidentata prima metà, quella con le guerre e Charlie Chaplin. Poi si è in qualche modo trascinato fino al terzo millennio. Lo sforzo non gli è stato fatale, ma quasi, e comunque potete sempre aspettare seduti sulla riva del fiume. Nella sua vita ha fatto molti mestieri, che a leggerne l’elenco ci si raccapezza poco perfino lui: assistente universitario di quattro discipline diverse (storia economica, diritto privato comparato, eocnomia politica e marketing), vice export manager di un’importante società petrolifera, consulente aziendale, giornalista, editore, affittacamere e scrittore. Ha pubblicato una settantina di articoli scientifici o culturali, tradotti in sei lingue europee, due saggi (Denaro ed Emergenza Fame, quest’ultimo pubblicato insieme a Famiglia Cristiana), due romanzi e una trentina di racconti di fantascienza, sei romanzi e una decina di racconti gialli, più un fritto misto di altri racconti difficili da definire. Negli ultimi anni si è scoperto la voglia di tradurre grandi autori, per il piacere di fare da tramite fra loro e il pubblico italiano. Questo ha voluto dire mettere le mani in molte lingue (tutte indoeuropee, peraltro). Il conto finora è arrivato a quindici. Non è che le parli tutte, ma oggi c’è il Web che per chi lo sa usare è anche un colossale dizionario pratico. L’essenziale è rendere attuali questi scrittori e i loro racconti, sfuggire all’aura di erudizione letteraria che infesta l’accademia italiana, e produrre qualcosa che sia divertente da leggere. Algama sta ripubblicando le sue opere in ebook, a partire dalla serie dei romanzi con protagonista il colonnello De Valera.

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