Di fronte a Sopravvissuto-The Martian di Ridley Scott mi chiedo se si possa criticare un regista immenso che ci ha dato I duellanti e Blade Runner, e si potrebbero aggiungere altri suoi titoli alla lista dei migliori film mai realizzati.
La risposta è sì, ma prima bisogna, come si dice, “sciacquarsi la bocca” ovvero parlare dei pregi di The Martian, che coincidono con le riconosciute qualità di un artista dell'”immagine in movimento” qual è il cineasta britannico.
Quindi, soprattutto, la curatissima e suggestiva scenografia, realistica e visionaria insieme.
Il Marte di Scott è basato sulle immagini fornite dai velivoli inviati in esplorazione, ma è anche il Marte di sogno che ci ha incantato nelle rappresentazioni letterarie. Al riguardo, non posso fare a meno di trovarlo vicino al Marte “similterrestre” di Bradbury. Ovvio che Scott non ha ripetuto l’operazione dello scrittore americano, recentemente scomparso, che ha preso Marte come pura metafora della “colonia” (quante ce ne son state e continuano ad essercene sul nostro pianeta!) poiché i dettagli tecnologici e fisici sono trattati dal regista di South Shields con grande accuratezza, lontana dal supremo disinteresse di Bradbury.
Epperò come non rimanere colpiti dal fatto che Matt Damon, protagonista come sempre molto espressivo (meritatissima la nomination quale miglior attore ai recenti Oscar), sembra muoversi sulla superficie marziana come nel giardino di casa, senza subire l’effetto della bassa gravità di Marte? Lo diciamo, sia chiaro, senza occhio da purista della verosimiglianza, perché trattasi di dettaglio consapevolmente ricercato e riuscitissimo del film.
Scott si trova a proprio agio con la fantascienza. Il motivo è che riesce come nessun altro, nelle prove più alte, a fondere i due aspetti più affascinanti del genere: il senso del meraviglioso, con i suoi scenari immensi e mai visti, e il sottofondo provocatorio, coi suoi rimandi a problematiche del nostro presente.
Prendiamo ad esempio Blade Runner. Nessun dubbio che il tema del film sia la relatività del bene e del male.
Nell’ultima scena , capolavoro assoluto, e non solo per il celeberrimo monologo conclusivo, Deckard, il cacciatore di androidi, e Batty, il replicante in procinto di “scadere”, combattono duramente ma con chiara controvoglia, perché nessuno dei due pensa di stare dalla parte della ragione. Non Deckard, sempre più dubbioso che gli uomini biologici siano migliori di quelli sintetici, e nemmeno Batty, sempre meno convinto che la pretesa dell’immortalità sia assennata.
In The Martian il tema è la solitudine, condizione ambivalente quant’altre mai. Da soli si soffre o si sta meglio? Il più grande genio della storia scriveva ” se sarai solo, sarai tutto tuo”.
Mark Watney, l’astronauta protagonista del film abbandonato su Marte, ha l’opportunità non solo di “essere tutto suo” ma di “avere tutto per sé”, laddove tutto sta per un intero pianeta. Malgrado sia determinatissimo nel combattere per ritornare a casa, si ha l’impressione che i privilegi offerti dalla sua “casetta” sul Pianeta Rosso non gli dispiacciano. Quanto il suo atteggiamento sempre positivo e il suo morale sempre alto dipendono dalla bellezza insospettabile di quella suprema solitudine?
A questo punto vi chiederete dove stiano le critiche annunciate , vista la serie di elogi che avete letto sin qui.
Purtroppo un difetto il film ce l’ha: la monotonia, intrinseca al soggetto. La suspance derivante dal tentativo di salvataggio di Watney non è un elemento di varietà abbastanza forte. Non si contano più, infatti, i casi in cui al cinema, in ambientazioni di tutti i tipi, non solo fantascientifiche, abbiamo visto la corsa sul filo del rasoio per salvare qualcuno. Si potrà dire che funziona sempre, ma in The Martian viene sovrastata dall’apologia della solitudine.
Arrivo a dire che Watney avrebbe potuto rimanersene su Marte sino alla fine dei suoi giorni senza nulla togliere alla poesia della storia.
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