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“Ha ucciso nostro figlio… Ma è libero” Parla la mamma di Alessandro Minto

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“Mio figlio è stato accoltellato da suo padre… Aveva solo 21 anni,  tanti sogni da realizzare e una vita da vivere.  Il mio Alessandro oggi mi sorride, immobile,  da una foto a colori fissata su una lapide di marmo bianca mentre il mio ex marito, il suo assassino,  è libero. E gira in bicicletta per il paese. Perché questa è la vostra giustizia”.

Lucia Ilieva continua a parlare. A ricordare.  Il suo è un monologo inarrestabile di rabbia, di lacrime e disperazione.  I pochi sorrisi  che non fanno rumore ma che si  avvertono dall’altro capo del telefono arrivano quando Lucia ricorda Alessandro,  i suoi abbracci, le sue frasi, la  passione di un ragazzo per il mare, per una barca che doveva ancora finire di pagare.

“Alessandro è morto per una piccola somma di denaro che aveva chiesto in prestito al padre… in un mezzogiorno di luglio di tre anni fa. Non poteva restituirla… e per questo ci fu una discussione assurda, con un piatto rotto e un’alzata di voce di mio figlio.  Alla reazione impetuosa ma inoffensiva di un ragazzo per scaricare la sua frustrazione davanti all’ennesima prepotenza, il mio ex marito ha risposto con una coltellata in pieno petto. Ha infilato una lama da 30 centimetri nel cuore di suo figlio”.

 

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Guerrino Minto, 72 anni, per l’omicidio del figlio ventunenne, Alessandro Minto, è stato condannato a 15 anni di carcere. Ma dopo pochi mesi di detenzione è stato trasferito in una comunità  di Padova e dalla scorso anno ha ottenuto gli arresti domiciliari.  E’ tornato ad abitare nella casa dove uccise il figlio, a Campagna Lupia, una piccola località nel Veneziano, dove lo hanno visto per le strade del paese passeggiare tranquillamente in bicicletta, come se nulla fosse successo.

“Vivo in Italia da trent’anni, ho sempre lavorato prima come ostetrica poi come infermiera, sono una cittadina italiana… ma non capirò mai come funzionano le cose in questo paese. In Italia tutto va al contrario… i carnefici vengono compresi e aiutati. Le vittime e i loro familiari dimenticati, e lasciati soli a macerare nel dolore della perdita e dell’ingiustizia. Perché non è giustizia quella che ha permesso a un assassino di tornare a casa. Alla sua vita. Mentre mio figlio una vita non l’ha più”.

Lucia Ilieva vorrebbe tornare in Bulgaria, a Sofia, dove è nata, e dice che prima o poi lo farà: “prima voglio che chi ha ucciso il mio unico figlio torni in carcere a scontare la sua pena. Prima voglio che chi era in quella casa quando Alessandro è stato ucciso, spieghi perché non ha fatto niente per fermare la mano e il coltello che hanno colpito mio figlio. Voglio capire perché non è stato chiamato subito il 118. Voglio capire perché un assistente sociale pagata dal comune va in quella casa tutti i giorni ad aiutare un parricida e sua madre…”.

Accuse e domande che meriterebbero giustizia e risposte.  “Mi sono ritrovata – spiega la donna ricordando il suo passato – in una famiglia dove la violenza era di casa, sola con un bambino piccolo e con i miei familiari lontani e inconsapevoli di quanto mi stava succedendo”. Anni di angherie e percosse che portarono Lucia Ilieva a denunciare la sua situazione ai carabinieri e a ottenere riparo in una comunità protetta dopo la separazione, avvenuta nel 1997. Ma a 11 anni  Alessandro torna a vivere con il padre, a Campagna Lupia.

“Sono stati i servizi sociali del comune ad avviare il percorso di riavvicinamento fra padre e figlio… All’inizio è stato tutto bello e facile… Il mio ex marito lo aveva conquistato con regalie e promesse… poi sono arrivate le liti, le minacce… Alessandro è stato minacciato anche pochi giorni prima di quel maledetto 26 luglio”.

Una convivenza difficile che emergerebbe anche dai verbali di interrogatorio di Guerrino Minto.  “Ora dice che si è pentito – prosegue Lucia Ilieva – ma né lui né i suoi familiari si sono fatti vivi con me dopo la tragedia. E a mia cognata che si è costituita parte civile contro il fratello questo Stato ha concesso ben 40 mila euro… una zia? Eppure non ricordo momenti di gioco o di affetto fra lei e mio figlio. Mai lo ha protetto. Neanche quel giorno”.

Una donna distrutta che non si dà pace, perché il suo Alessandro si sarebbe dovuto trasferire a Mestre, da lei, da sua madre… “Lo avrei protetto io… avrei dovuto insistere… Ma a Campagna Lupia aveva i suoi amici, il suo lavoro, la sua fidanzatina…  affetti a cui non voleva rinunciare. Per questo ha costretto se stesso a restare col suo carnefice. Le uniche parole vere che ho sentito in questi anni – continua Lucia Ilieva – sono quelle degli amici che gli hanno voluto bene perché Alessandro era un amico sincero, una persona vera, conosceva la differenza fra il bene e il male”.

Di vero c’è anche il primo agghiacciante verbale di Guerrino Minto. Una pagina dove l’anziano agricoltore ha dichiarato di aver prestato al figlio pochi giorni prima del delitto la somma di cinquecento euro per acquistare un motore per il barchino. Ha dichiarato che mentre stavano pranzando ha chiesto al figlio la restituzione di almeno 200 euro. Che Alessandro si sarebbe rifiutato. Che avrebbe contestato al padre di aver usato seimila euro custoditi in un libretto postale a lui intestato per l’acquisto di un mezzo agricolo.

Alessandro Minto, quindi,  sarebbe morto, a vent’anni, per 200 euro che non voleva restituire. “Ha preso il coltello per il pane che era sul tavolo e lo ha affondato  nel petto di mio figlio…  e oggi se ne va in giro in bicicletta, indisturbato. C’è pure l’assistente sociale che si occupa dell’anziana madre del parricida… mentre lui se la ride davanti al bar, coltiva il suo orto e le sue terre… Mi dicevano che l’assassino di mio figlio era malato e che stava male invece è in piena salute… E’ una vergogna, e nessuno fa niente. Penso  a tutte quelle volte  in cui il mio ex marito mi chiudeva in casa per gelosia.  Penso a tutte quelle volte  in cui mi ha picchiata. Penso a quando  minacciava di uccidermi. Penso che oggi potrebbe accoltellarmi come ha fatto con nostro figlio. Tanto non lo metterebbero neanche in carcere”.

Raffaella Fanelli per Stop

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Raffaella Fanelli

Vivo a Milano, ma sono quasi sempre a Roma o a Taranto. Già a 19 anni ero iscritta all'albo dei giornalisti professionisti. A 21 mi sono laureata in Scienze Politiche e a 26 sono diventata mamma. Collaboro con il settimanale Oggi da dieci anni. Sempre da giornalista precaria ho scritto per Sette (del Corriere), Repubblica, Panorama, Visto, Tu Style, Stop, Gente. Nel 1990 ho vinto la prima edizione del premio Smau, nel 1997 la prestigiosa penna d'oro per la cronaca e nel 2014 il premio "genio della donna" assegnato dall'Ucsi, Unione cattolica stampa italiana. Con Aliberti ho pubblicato Al di là di ogni ragionevole dubbio, il delitto di Via Poma e con EdizioniANordest Intervista a Cosa Nostra. Giro e monto interviste per la televisione svizzera, e oltralpe ho pubblicato l'ultima intervista rilasciata da Licio Gelli. Trentacinque gli assassini che ho inseguito e intervistato. Tre i serial killer. E prima o poi racconterò il dietro le quinte di adrenaliniche interviste, di inseguimenti e scatti fotografici rubati. Intanto ho pubblicato il mio incontro con Felice Maniero. Per il settimanale Oggi ho intervistato Salvatore Riina e Angelo Provenzano, Gaspare Mutolo e Bruno Contrada, Salvatore Borsellino e Giovanni Impastato. Ho scritto di mafia. Ma non solo di quella. Sono entrata in punta di piedi e di penna nella vita di centinaia di persone e in molte di queste vite sono rimasta. Ho lavorato in televisione, prima a Verissimo e a Quarto Grado, poi a Chi l'ha visto, infine a Lineagialla. Un corso di doppiaggio mi ha portata in radio e in Agr, l'agenzia radiotelevisiva di Rcs dove sono rimasta per dieci anni. Di me hanno detto che sono una "pazza costruttiva", che sono "fastidiosa" e pure asociale. Non ho un partito di riferimento, leggo molto e viaggio poco. Non ho una pagina di Wikipedia col mio nome. Continuerò a scrivere a cottimo e a chiamata ma continuerò a scrivere. Perché è l'unica cosa che so fare.

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