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La libertà per Giovanni Brusca è un vero scandalo

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Giovanni Brusca ha fatto esplodere il giudice Falcone e la sua scorta, ha assassinato 150 persone tra cui un bambino. Eppure ‘u verru passa a casa cinque giorni ogni mese. Vi raccontiamo l’indignazione dei familiari delle sue vittime. E Salvini dice: “Aboliamo la Gozzini”

giovanni brusca

 

di Raffaella Fanelli per Oggi

“Giovanni Brusca non ha raccontato tutta la verità su come si svolsero i fatti nel dietro le quinte della stagione delle stragi e della trattativa…  ci sono delle zone d’ombra nelle sue dichiarazioni”. Antonio Ingroia che da ex pm ha coordinato proprio l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, si dice convinto di questo: “Brusca sa ben altro”. Eppure è fuori. In permesso. Cinque giorni al mese con Natale e feste comandate. Nonostante 150 omicidi in curriculum. Nonostante le omissioni che ci sarebbero state, almeno stando a Ingroia che ha più volte incontrato e interrogato lo “scannacristiani”. “L’ho anche  indagato per intestazione fittizia di beni e tentata estorsione aggravata. Brusca era tornato da collaboratore ad occuparsi di vicende siciliane e a prendere contatti con persone degli ambienti criminali di San Giuseppe Jato. I beni su cui diceva di vantare dei diritti non erano stati indicati fra quelli di sua proprietà”. Distratto e smemorato, il verru. Che per riprendersi la sua roba scrisse indisturbato dal carcere all’imprenditore Santo Sottile: “Divento una bestia più di quanto non lo sono stato nel mio passato… sono disposto ad arrivare fino in fondo, costi quel che costi, e non mi riferisco alle vie legali”. Toni minacciosi. Ma l’accusa di estorsione fu derubricata in violenza privata, e in tribunale arrivò l’assoluzione. Brusca è uno recidivo. Fu pizzicato ancora: gli trovarono in carcere una pendrive con le indicazioni per le ristrutturazioni di una casa a San Giuseppe Jato. Il suo programma di protezione traballò, ma alla fine fu perdonato. Furono pure restituiti i 188 mila euro rinvenuti nella casa della moglie di Giovanni Brusca, donna Rosaria Cristiano. Somma risultata di provenienza lecita e conservata in casa per far fronte alle piccole spese quotidiane. “Giovanni Brusca è un collaboratore importante. Ha parlato del papello ed è stato uno dei primi a ricostruire dall’interno lo schieramento dei corleonesi e il momento di frattura fra la fazione più dura e sanguinaria di Totò Riina, Leoluca Bagarella e i Brusca e quella più moderata di Bernardo Provenzano. Da quella rottura è partita la trattativa”. Per Antonio Ingroia, Brusca è un collaboratore attendibile. Eppure la vicenda di Luciano Violante potrebbe suggerirci il contrario: “E’ stato solo un episodio… raccontò di aver viaggiato in aereo da Palermo a Roma con Luciano Violante concordando insieme dichiarazioni contro Andreotti. Tutto si rivelò falso. E Brusca fu condannato per calunnia. Da allora ha raddrizzato la rotta”. Sbandando solo per gestire i suoi beni…ma perché lo Stato ha avuto bisogno dei pentiti? “Il meccanismo delle collaborazioni è stato utilizzato anche per le brigate rosse… Giovanni Falcone si servì di Tommaso Buscetta e Paolo Borsellino di altri pentiti. Si tratta di uno strumento investigativo al quale è difficile rinunciare quando si ha a che fare con strutture segrete come Cosa Nostra. Non è un caso che oggi l’organizzazione mafiosa più potente è la ‘ndrangheta proprio perché è stata meno colpita dal fenomeno dei pentiti”. Insomma non si poteva fare a meno delle rivelazioni di assassini e criminali conclamati.

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“Il pentito è tanto più credibile quanto più è assassino e quanta più gente ha ammazzato”, dice Tina Montinaro, vedova del caposcorta di Giovanni Falcone, Antonio Montinaro, morto a Capaci insieme al giudice, a Francesca Morvillo, Vito Schifani e Rocco Di Cillo. “Le loro dichiarazioni sono state ben ricompensate dallo Stato… Hanno avuto sconti di pena, protezione e capitalizzazioni”. Tina Montinaro vive in Sicilia, a Palermo, da trent’anni, ma il suo accento napoletano si sente forte quanto la rabbia  che ha dentro. “Da 23 anni grido senza voce… nessuno mi ascolta. Ma io continuo a dirlo che voglio  giustizia, io continuo a gridare che gli assassini di mio marito devono stare in carcere. Prima di graziarli lo Stato avrebbe dovuto chiedere il parere di noi familiari… invece chi ha perso figli e mariti non conta niente. Del nostro dolore lo Stato se ne frega… Poi tutti a indignarsi quando Brusca esce dal carcere, in permesso. Devono spiegarmi perché il circo equestre dei processi se poi questi se ne tornano a casa… I politici si indignano, si scandalizzano e fanno finta di non sapere niente… Brusca ha passato il Natale con la moglie e i figli. Io ho portato i fiori a mio marito… La sua libertà è una grande mancanza di rispetto”.

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‘U verru azionò il telecomando che uccise Giovanni Falcone e le altre vittime della strage di Capaci, ma è anche quello che ai suoi sgherri comandò: “allibertativi du cagnuleddu” (liberatevi del cagnolino). Di Giuseppe Di Matteo. “Aveva 11 anni, mio figlio. Fu rapito  e ucciso dopo  779 giorni di prigionia. E il suo carnefice è uscito libero proprio nei giorni del ventesimo anniversario della morte di Giuseppe”. Franca Castellese non si dà pace. Non perdona il marito per essere stato un mafioso. Né può perdonare il “mostro” che ha prima ucciso e poi sciolto nell’acido il figlio. “Giovanni Brusca non si è mai pentito”, precisa l’avvocato Monica Genovese, legale di Franca Castellese, “non ha mai chiesto perdono. Eppure ha usufruito di libertà negate ad altri”.

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Nessun politico ha intenzione di occuparsi del caso Brusca. “La legge sui pentiti è stata fatta quando il Movimento 5 Stelle non c’era ancora”, dice Andrea Colletti, membro della commissione giustizia dei pentastellati. “Il permesso dato a Brusca rispetta la normativa”. Nonostante i 150 omicidi, nonostante Giuseppe di Matteo, nonostante da ligio pentito abbia nascosto i suoi beni – l’ultimo sequestro è dello scorso luglio per oltre un milione di euro – nonostante i precedenti tentativi di riprendersi il suo tesoretto contattando pure malavitosi di San Giuseppe Jato?  “Non sapevo di questo… se davvero è così i permessi non dovrebbero essere concessi. Prima di Natale ci siamo ritrovati davanti a una delega che prevedeva dei benefici penitenziari anche per i mafiosi che non si sono pentiti. E’ stata tolta”.

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Determinato Matteo Salvini della Lega: “Presenteremo in Parlamento una proposta di legge per abolire la legge Gozzini, quella che concede premi e sconti a  mafiosi e  criminali. Così nessuno potrà più godere di trattamenti di favore. Chi si macchia di gravi delitti deve restare in prigione e scontare sino all’ultimo giorno la sua pena. Siamo gli unici che soprattutto in questi quattro anni  si sono opposti in Parlamento all’approvazione delle leggi svuotacarceri, bene cinque, volute dalla sinistra. Abbiamo sempre votato contro, a prescindere da chi fosse al governo, Monti,  Letta e Renzi. Basta con i permessi”.

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Poco importa: tanto Giovanni Brusca, ‘u verru, ‘u scannacristiani, non ne avrà più bisogno, entro il 2020 tornerà libero. Nonostante tutto.  E nessuno potrà impedirlo.

Raffaella Fanelli

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Raffaella Fanelli

Vivo a Milano, ma sono quasi sempre a Roma o a Taranto. Già a 19 anni ero iscritta all'albo dei giornalisti professionisti. A 21 mi sono laureata in Scienze Politiche e a 26 sono diventata mamma. Collaboro con il settimanale Oggi da dieci anni. Sempre da giornalista precaria ho scritto per Sette (del Corriere), Repubblica, Panorama, Visto, Tu Style, Stop, Gente. Nel 1990 ho vinto la prima edizione del premio Smau, nel 1997 la prestigiosa penna d'oro per la cronaca e nel 2014 il premio "genio della donna" assegnato dall'Ucsi, Unione cattolica stampa italiana. Con Aliberti ho pubblicato Al di là di ogni ragionevole dubbio, il delitto di Via Poma e con EdizioniANordest Intervista a Cosa Nostra. Giro e monto interviste per la televisione svizzera, e oltralpe ho pubblicato l'ultima intervista rilasciata da Licio Gelli. Trentacinque gli assassini che ho inseguito e intervistato. Tre i serial killer. E prima o poi racconterò il dietro le quinte di adrenaliniche interviste, di inseguimenti e scatti fotografici rubati. Intanto ho pubblicato il mio incontro con Felice Maniero. Per il settimanale Oggi ho intervistato Salvatore Riina e Angelo Provenzano, Gaspare Mutolo e Bruno Contrada, Salvatore Borsellino e Giovanni Impastato. Ho scritto di mafia. Ma non solo di quella. Sono entrata in punta di piedi e di penna nella vita di centinaia di persone e in molte di queste vite sono rimasta. Ho lavorato in televisione, prima a Verissimo e a Quarto Grado, poi a Chi l'ha visto, infine a Lineagialla. Un corso di doppiaggio mi ha portata in radio e in Agr, l'agenzia radiotelevisiva di Rcs dove sono rimasta per dieci anni. Di me hanno detto che sono una "pazza costruttiva", che sono "fastidiosa" e pure asociale. Non ho un partito di riferimento, leggo molto e viaggio poco. Non ho una pagina di Wikipedia col mio nome. Continuerò a scrivere a cottimo e a chiamata ma continuerò a scrivere. Perché è l'unica cosa che so fare.

Un commento

  1. Qualora la Giustizia in Italia decidesse la scarcerazione di Giovanni Brusca, anche se è brutto ciò che sto per dire, l’unica cosa da augurarsi (in considerazione dei gravissimi crimini da lui commessi) è che qualche suo acerrimo nemico decida di attuare la sua condanna a morte per impedirgli di continuare a vivere nella sua amata Sicilia. Brusca, sebbene da pentito abbia svolto un ruolo importante nella lotta alla mafia, rientra in quella esigua categoria di persone che di fatto è già morta per la società umana. Non vedo come possa rientrarne a far parte.

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