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Le 20 storie più commoventi del 2015

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Stiamo per lasciarci alle spalle un 2015 pieno di ansie e di spettri di guerra, ma anche di vicende che hanno profondamente coinvolto l’opinione pubblica mondiale. Ecco le 20 storie più commoventi scelte da Fronte del Blog.

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1. Come quella della giovane Amy Thompson, bellissima sedicenne inglese finita in coma dopo aver ingerito una pasticca di MDMA tagliata male, compromettendo così definitivamente il proprio futuro. Ridotta in carrozzina per una sera da sballo, le sue immagini e un video postati dalla cugina su Facebook (del prima e del dopo), per mettere in allarme i giovani, hanno fatto il giro della Rete. Ancora fatica a parlare. Scrisse la parente: «Alcune persone potrebbero aver pianto, riso o essere rimaste scioccate dal video, ma questo è quello che una piccola pillola può fare».

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2. Stupore e commozione hanno invece provocato le foto del funerale di Margarita Suareze, messicana di Cuervaca, un’anziana che portava sempre da mangiare ai randagi del quartiere. Immaginatevi la sorpresa quando alla camera ardente si è presentato un gruppo di cani a testa bassa, sono entrati in casa e si sono sdraiati sul pavimento. In una vera e propria veglia. La figlia di Margarita, ha scattato loro alcune foto: «È stato meraviglioso e inspiegabile. Una volta trasferito il feretro per la cremazione, i cani sono andati via da soli, così come erano arrivati».

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3. Tantissime le vicende di bambini che hanno riempito le cronache. Storie drammatiche, come quella vissuta all’Hospital for Sick Children di Toronto da Michael Wagner e dalla moglie Johanne: due figlie gemelle, adottate in Vietnam, Phuoc e Binh, che necessitavano entrambe di un trapianto di fegato perché affette dalla sindrome di Alagille, una malattia genetica che provoca il deterioramento delle cellule epatiche. Ma Michael poteva donarlo solo ad una di loro. E ha dovuto scegliere, optando per Phuoc, perché versava in condizioni più gravi. Un caso finito anche nelle polemiche, tanto che in Italia gli esperti in materia di trapianti hanno detto: «Da noi, come pure in Francia, una situazione del genere sarebbe stata inimmaginabile».

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4. E sempre in materia di gemellini, ha scosso il mondo la fine della piccola Hope, vissuta appena 74 minuti. Nata insieme al gemellino Josh, i medici, fin dall’inizio della gravidanza della madre, le avevano diagnisticato l’anancefalia, malattia incompatibile con la vita. Ma Andrew e Emma Lee, di Newmarket, nel Suffolk, Gran Bretagna, hanno rifiutato l’ipotesi di un aborto selettivo e l’hanno fatta nascere, per poi donarne i reni. «Settantaquattro minuti sono pochi – ha detto Andrew – ma poco prima di morire, mi ha stretto un dito con la manina e sono crollato». Hope è diventata la più piccola donatrice di sempre: nel 2014 la stessa scelta venne fatta in Galles per un bimbo vissuto appena 100 minuti.

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5. Ma ci sono anche storie per fortuna molto meno drammatiche eppur capaci di smuoverci. Come quella di Herald Campbell, la cui figlia Charlotte, 6 anni, affetta da sordità, aveva paura ad indossare un apparecchio acustico che le consentisse di sentire. Lo aveva messo, sì, ma aveva perso il sorriso. Così, lui, neozelandese con grande spirito d’iniziativa, se ne è fatto tatuare uno identico sulla testa: «Ha toccato il tatuaggio e ha detto: “è cool!” Non voleva parlare con nessuno, oggi Charlotte è diventata molto socievole». Piccoli gesti – anche se non troppo piccoli – di grandi genitori.

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6. Un gesto immenso, e straziante, è quello invece fatto dal piccolo Leland Shoemake, sei anni, di Pike County, Georgia, morto dopo aver contratto un’infezione al cervello mentre giocava all’aperto, infezione causata dall’ameba Balamuthia mandrillaris. E scambiata inizialmente per meningite. Il bimbo, aggravatosi, morì in ospedale. Ma quando i genitori sono tornati a casa per prendergli qualche vestito per la sepoltura, hanno trovato un messaggio sul tavolo. Un messaggio di Leland, che diceva: “Grazie, mamma e papà. Sarò sempre con voi, vi voglio bene”. La mamma l’ha postato su Facebook, e quel messaggio ha fatto il giro del mondo insieme al suo commento: «Leland amava suo fratello e tutta la sua famiglia così tanto. Era l’anima della festa. Il suo sorriso poteva illuminare una città. Era il più intelligente, premuroso e amorevole bambino che sia mai esistito. Ci è stato portato via troppo presto. Avrebbe potuto fare ancora grandi cose per questo mondo».

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7. I bambini sono capaci di insegnarci molto. E spesso hanno più coraggio. Lo stesso dimostrato da Valentina Maureira, la quattordicenne cilena che aveva chiesto l’eutanasia con un video-appello alla presidente cilena Michelle Bachelet. Soffriva di fibrosi cistica e aveva visto morire della stessa patologia un compagno di reparto in ospedale, il proprio fratellino di 6 anni e il suo miglior amico. La Rete si era mobilitata, centinaia di migliaia di persone le avevano espresso calore. E lei aveva infine cambiato idea, lottando fino alla fine con la letale malattia.

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8. Ci sono purtroppo battaglie che non si possono ancora vincere. Ma Heather McManamy, malata terminale di 35 anni, ha trovato il sistema per far sentire ancora la propria presenza alla sua Brianna, di 4 anni, scrivendole 40 lettere da farle leggere nei momenti più importanti della vita, quando lei non ci sarà più: il primo amore, il diploma, il momento brutto, il primo lavoro. Ogni busta ha un colore diverso: «Queste lettere – ha detto la donna – le ho preparate pensando a tutti i momenti in cui Brianna potrebbe volere il mio incoraggiamento per un giorno difficile, un cuore spezzato, un brutto voto o a quelli in cui esprimerle la mia gioia per il suo matrimonio e così via».

Una storia diventata subito virale in Rete.

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9. Ci sono però altre vicende, che per fortuna con la morte non hanno a che fare, che sono state capaci prima di suscitare indignazione e poi commozione per la reazione ad un episodio quasi surreale. È accaduto in Italia, nell’ambiente dove per eccellenza dovrebbe regnare buonsenso e rispetto per gli altri: lo sport. I motivi, a dire il vero, per cui si comincia. È la storia di Matteo Bartolini, 20 anni, figlio dell’allenatore della Pallavolo Orbetello. Matteo, un ragazzo down, da quattro anni siede in panchina col padre, regolarmente tesserato come secondo dirigente. Tutto bene fino a quando due arbitri, prima di una partita a Sesto Fiorentino, non lo hanno invitato ad alzarsi e a seguire l’incontro dietro, insieme allo staff medico. Motivo? Per il regolamento in panchina può sedere solo l’allenatore e un dirigente. Lui non ha battuto ciglio. Il padre Andrea, che ha provato a far capire la situazione, è stato pure squalificato. Ma è proprio la reazione del genitore a far capire cosa sia lo sport: non ha fatto ricorso contro la squalifica e ha optato per andare in tribuna. In caso di ulteriori contestazioni, anche il primo dirigente andrà in tribuna, lasciando Matteo in panchina, dove è giusto che possa stare. I primi a solidarizzare sono stati quelli delle squadre avversarie. Ed è impazzato sui social l’hastag #iostoconmatteo. Al figlio Andrea ha detto: «Ci sono persone che applicano le regole scritte, magari hanno ragione ma a volte peccando di buonsenso».

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10. Qualche mese prima i protagonisti di un’amicizia senza fine hanno fatto gioire l’America: si tratta di Ben Moser e Mary Lapkowicz, l’amica down che il giovane non vedeva da tempo: a distanza di tanti anni lui ha mantenuto la promessa di portarla al ballo degli studenti, l’appuntamento più sentito tra i giovani statunitensi. Già, perché avevano fatto le elementari insieme. E lui glielo diceva sempre: «Da grandi, ti porterò a ballare». E quando, anni dopo, l’ha ritrovata casualmente (lui giocatore di football americano, lei figlia dell’allenatore della squadra avversaria), Ben ha preso un palloncino e glielo ha consegnato con su scritto “ballo”. «Non riuscivo a crederci, io credevo che ci sarei andata con gli amici» ha detto poi lei. La vicenda, postata su Facebook dalla famiglia, è diventata presto virale in Rete.

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11. Lo stesso destino capitato a Madeline Stuart, australiana, diventata la seconda modella con sindrome di down a calcare le prestigiose passerelle americane, sfilando come modella a New York. Anche la sua storia è infatti finita su Facebook: 18 anni, per sfilare ha perso ben 20 chili, nuotando cinque volte la settimana e diventando è cheerlader nelle partite di cricket alle Olimpiadi paralimpiche. Balla hip hop e ha già posato ormai per diverse riviste. La madre ha detto: «Grazie a lei credo che sia giunto il momento di far capire che le persone con sindrome di Down possono essere sexy e belle».

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12. E a commuovere non potevano non esserci le love story. A partire da quelle più giovani, dove ogni minimo gesto assume un significato: ecco così la storia degli artisti coreani Danbi Shin, che vive a Seul e Seok Lin, che sta a New York. Fidanzati divisi da 11mila chilometri, hanno trovato un modo per annullare le distanze: ognuno di loro scatta la foto di un oggetto o di un momento della propria vita quotidiana. Poi li fondono in un’unica immagine che pubblicano sul loro profilo Instagram ShinLiArt. Ecco così la colazione diversa eppur rigorosamente tagliata a metà. Le mani unite a migliaia di chilometri di distanza, le città che azzerano le lontananze, dove appaiono uno di fronte all’altra.

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13. Chissà che la loro storia non finisca come quella di Alexander e Jeanette Toczko, di San Diego, California. Loro si sono conosciuti da bambini e per novant’anni non si sono più lasciati, fino a morire a poche ore di distanza uno dall’altra, all’età di 95 e 96 anni. Quasi incredibile. Quando Alexander si è rotto un femore, anche Jeanette ha iniziato a star male. In ospedale li hanno messi nella stessa stanza. E non appena lui è morto, lei ha detto: «Aspettami, arrivo subito». Così ha riferito la nipote Aimee, che ha raccontato per immagini l’infinita love story dei nonni: «La vita è veramente un’avventura ignota. Da queste belle persone ho imparato che è un dono che dobbiamo condividere».

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14. E proprio in questi tempi che Mark Zuckerberg è diventato padre promettendo al mondo che lascerà il 99% delle azioni del suo Facebook per diventare filantropo, torna in mente il lungo post sul social scritto dalla numero due del colosso Facebook, Sheryl Sandberg. Un toccante tributo d’amore per il marito scomparso, Dave Coldberg, 47 anni, Ceo di SurveyMonkey, morto cadendo da un tapis roulant della palestra in cui si allenava, durante una vacanza con la famiglia al Four Seasons Resort di Puerto Vallarta, in Messico. Una “lettera” che ha fatto il giro del mondo: «Nella speranza che ci sia del significato in questa tragedia. Ho vissuto 30 anni in questi 30 giorni. Sono 30 anni più triste. Ma sento di essere anche 30 anni più saggia. Ho capito più profondamente cosa voglia dire essere una madre, sia per la profondità del dolore che sento quando i miei figli urlano e piangono, sia per la connessione che ha mostrato mia madre alla mia pena. Ha cercato di riempire il posto vuoto nel letto, stringendomi forte ogni notte finché non mi addormentavo dal tanto piangere. Ha combattuto le sue lacrime per fare spazio alle mie». Dice di aver conosciuto nel dolore la gratitudine, la solidarietà, l’amicizia vera. Ha imparato a chiedere aiuto. E conclude: «Come canta Bono, “Non c’è fine al dolore… e non c’è fine all’amore”. Ti amo, Dave».

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15. Spesso quando si è soli si è portati a meditare. E un 28enne cinese ha preso una decisione che all’inizio era stata criticata. Sognava di sposarsi, da sempre. Ma poi l’emittente CCTV ha raccontato la storia di quelle foto che facevano il giro del web, con lui che sposava una di quelle bambole realistiche, come se fosse un film di serie B. E l’opinione pubblica è mutata: il giovane è malato terminale ed ha voluto vedere cosa si potesse provare il giorno delle nozze. Ad una fonte della tv ha detto solo che ha deciso di farlo per non lasciar presto una vedova sofferente. E la notizia è apparsa così sulle pagine dei principali media del mondo.

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16. Ma certo anche le storie che non finiscono mai commuovono. E così è accaduto quando Reid Russel ha pubblicato su Twitter la foto del nonno che portava alla nonna Elinor ricoverata in ospedale fiori e cioccolatini per un’occasione molto speciale: i loro 57 anni anni di matrimonio.

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17. Una vicenda che tocca il cuore almeno quanto quella della polacca Paula Butlewska: il padre sognava di girare il mondo, ma è morto prima che potesse realizzarlo. Così, insieme a 20 amici, Paula ha messo su un progetto: inviare al padre, dai tanti luoghi che l’uomo voleva visitare, cartoline con destinazione “Paradiso”, attraverso palloncini colorati, o aquiloni o lanciandole nel mare. Ha così “spedito” oltre cinquanta cartoline, scritte a mano, da altrettanti Paesi. Sei ne ha visitati Paula: Perù, Bolivia, Cile, Spagna, Belgio e Regno Unito. Gli amici sono passati anche in Israele, Germania, Usa, Turchia e pure in Italia. Ogni cartolina è stata documentata da uno scatto, finito su Facebook. Lei dice che è come una terapia contro il dolore e per sentire il padre ancora vicino: «Credo che per tutto non sia mai troppo tardi».

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18. Anche il terrorismo ha fatto emergere vicende che hanno commosso il mondo. Come quella di Matthew James, l’eroe che ha fatto da scudo umano alla fidanzata Saera Wilson, 26 anni, per salvarla dai proiettili della strage di Sousse, in Tunisia. Trentenne di Pontypridd, Galles, Matthew fu il primo contro cui sparò Seifeddine Rezgui. Ricorda Saera: «Matthew era coperto di sangue, mi urlava di scappare. Sono scappata verso il nostro hotel passando tra i cadaveri». Ora sta meglio. La mamma Kathryn, non ha nascosto la sua emozione: «Sono così orgogliosa di lui, ha messo davanti la vita degli altri prima della sua. Le sue condizioni stanno migliorando».

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19. E nella strage del Bataclan di Parigi, ha fatto parlare molto la lettera su Facebook del giornalista francese Antoine Leiris, che ha perso la moglie Hélène, da cui aveva un figlio di appena 17 mesi, per opera dei terroristi. Il primo impatto con la salma: «L’ho vista stamattina. Finalmente, dopo giorni e notti d’attesa. Ed era così bella, bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando mi ha fatto follemente innamorare di lei 12 anni fa». E poi, rivolto ai terroristi: «Non avrete il mio odio. Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio ma no, non avrete il mio odio… Certo che sono devastato dal dolore, questa piccola vittoria ve la concedo, ma sappiate che sarà di breve durata. Io so che lei ci accompagnerà ogni giorno e che la ritroveremo nel paradiso delle anime libere nel quale voi invece non avrete mai accesso». Ora è rimasto solo col bimbo piccolissimo: «Siamo solo in due ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo. Tra l’altro, ora devo andare: devo andare da Melvil che si sta per svegliare dal suo riposino. Ha solo 17 mesi e come ogni giorno mangerà la sua merenda e poi andremo a giocare come sempre e per tutta la sua vita questo bambino vi farà l’affronto di essere felice e libero. Perché no, non avrete nemmeno il suo odio».

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20. Ma tra tutte queste vicende, c’è una grande storia di speranza che ci porta verso l’anno nuovo. Quello di Sharista Giles, studentessa al Tennessee Wesleyan College, vittima di un incidente nel dicembre 2014, mentre tornava a casa in auto con alcuni amici da un concerto. I medici disperavano di salvarla, ma volevano almeno far nascere il bimbo che aveva in grembo: ma era ancora troppo presto. L’hanno così tenuta in vita. Il bimbo è nato al sesto mese, 800 grammi, e mandato per quattro in terapia intensiva. Poi è accaduto l’incredibile: Sharista ha riaperto gli occhi. I miglioramenti continuano, anche se ancora fatica a comunicare. Su Facebook c’è un gruppo di preghiera seguito da quasi 40 mila persone, dove appaiono anche le foto del bimbo, che cresce in salute. Speriamo che il 2016 le porti bene.

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Manuel Montero

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