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Feng, donna gelosa, evira il marito due volte: storia delle donne che castravano i propri compagni

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Lui si chiama Fan Lung, ha 32 anni. E sulla sua pelle ha visto realizzarsi il peggiore incubo di ogni uomo. Lei si chiama Feng e per quanta galera dovrà farsi, l’affronterà tutta con un ghigno sadico, perché sa che la sua vendetta è definitivamente compiuta e il marito vivrà il resto dei suoi giorni con la più atroce delle torture psicologiche addosso.

 

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Lorena Bobbit

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Siamo a Shangqiu, nella provincia di Henan, in Cina. Fan Lung ha una relazione da qualche tempo con una ragazza più giovane di undici anni, Zhang Hung. Una sera ha probabilmente il telefono scarico, e per mandarle un messaggio usa il cellulare di Feng, la moglie. Ma non cancella le tracce. Poi va a letto. E lei, sfortunatamente, lo scopre. Di solito finisce con una sfuriata, una separazione, anche violenta. Talvolta in tragedia. Ma a Feng l’omicidio non basterebbe. Troppo rapido. Aspetta che il marito si addormenti, afferra un paio di forbici. E lo evira. L’uomo urla, i soccorsi arrivano. Lei non c’è. Lo portano in ospedale e i chirurghi fanno il massimo per riattaccare il membro. Certo, avrà problemi a vita, ma l’operazione riesce.

 

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E a Feng non basta. Non si sa come, torna in ospedale, nessuno la vede. Entra nella stanza. E lo evira di nuovo. Stavolta getta il pene dalla finestra. Fan corre per strada, sanguinante. Accorrono medici, polizia, infermieri. L’oggetto della discordia non c’è più, portato via, spiegherà un portavoce dell’ospedale, forse da un gatto randagio, forse da un cane. La moglie viene arrestata per lesioni gravissime, mentre Zhang giura allo sfortunato uomo amore eterno e si dice pronta a sposarlo. Non importa che lui non possa più avere figli, perché, dice, Fan «ne ha già cinque».

Inutile dire che qualche perplessità questa storia, ripresa in tutto il mondo, la suscita, più che altro perché non viene mai citato il nome dell’ospedale.

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Di fatto, sono storie che accadono più spesso di quanto ci si immagini. La prima clamorosa vicenda, com’è noto, fu quella di Lorena Bobbit. La sua versione dei fatti la raccontò anche in Italia, a Paola Perego, nell’ottobre 2006: «Spiegherò la verità a mia figlia non appena avrà l’età giusta per capire. È importante che lei sappia cosa è successo quella notte attraverso le mie parole e non, per caso, navigando su Internet, dove spesso circolano notizie false». Già. Era una notte del 1993, alla periferia di Washington. Lorena Gallo, estetista, aveva 24 anni. Suo marito, John Wayne Bobbit, ex marine, due in più. Pare che lui volesse fare l’amore. Lei no. E per punirlo, gli tranciò il pene, fuggendo per le strade e lanciandolo fuori dall’auto in corsa. Poi chiamò da una cabina le forze dell’ordine: «Ho visto il coltello sul tavolo … Ero fuori di me … In camera ho sollevato il lenzuolo e ho tagliato».

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Una storia incredibile, specie per il finale: perché la polizia ritrovò il membro per strada e i medici, dopo un’operazione durata dieci ore, riuscirono a ricucirlo. Al processo che divise l’America, schierata da una parte con le femministe e dall’altra con chi subì un’umiliazione terribile, vennero assolti entrambi. E entrambi ricevettero lettere d’amore di spasimanti. Fu però John Wayne a far parlare ancora di sé: diventò addirittura attore in film porno – sollevando inevitabilmente morbose curiosità – e quindi ministro di culto, pronto a celebrare matrimoni. Presto finì nuovamente nei guai a causa della nuova compagna che lo accusò di violenze domestiche. Ma venne assolto.

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Nel 2000 la notizia choc toccò alla Francia. Najou Ben Ameur, tunisina, aveva 36 anni, suo marito diciotto in più. Sembra che lui la picchiasse in continuazione. Vivevano ad Arles. Una notte la donna, stanca di subire, lo drogò. Attese che dormisse profondamente. Gli legò mani e piedi al letto. E lo evirò. Poi andò oltre. E lo sgozzò. Passarono cinque anni e l’incubo di ogni uomo fece tappa in India, a Lucknow. Reshma Ahmed di anni ne aveva 27. E dal rapporto col marito erano nati cinque figli. Poi lui aveva iniziato a bere e ad andare a letto con altre. Reshma sopportava. Finchè lui non entrò in casa con una prostituta, incurante della sua presenza. Finse di accettare ancora. Due giorni più tardi andò in cucina, prese un coltello. Aspetto il favore della notte. Gli legò le mani al letto. E lo castrò.

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È senz’altro vero che in alcune persone l’umiliazione continua e devastante possa far scattare una vendetta ancor più sadica di quanto subito, ma non sempre va così. Nello stesso anno, ad esempio, a Houston, Delmy Ruiz, 49 anni, evirò il fidanzato mentre dormiva. Per giustificarsi disse che lui l’aveva stuprata. Ma i giudici non ne furono affatto convinti. Dissero che lei, semplicemente, temeva che lui la stesse ingannando. Un po’ poco per scavare nei meandri della mente a tentare di trovare un impulso del genere: le diedero otto anni.

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E l’evirazione per gelosia, ovviamente, non poteva che passare anche per l’Italia, terra in cui il delitto d’onore fino al 1981 era considerato una generosa attenuante. E infatti, accadde molto prima di tutti questi episodi. Avvenne il 22 febbraio del 1967. Fu allora che la polizia fece irruzione in un albergo del litorale di Bagnoli. Dentro, un uomo di 21 anni, Gino R., geometra. Era in preda ad un’emorraggia provocata dalla sua amante, una vedova con il doppio dei suoi anni, che lo aveva castrato con un rasoio. Secondo le cronache dell’epoca, lui voleva troncare la relazione perché si era innamorato di un’altra donna, sposata e neppure da molto. Maria Di Stasio, così si chiamava la “punitrice”, fu definitivamente condannata a dieci anni, ma morì in prigione otto anni più tardi. Quasi cinquant’anni dopo, una studentessa della Bocconi, Martina Levato, ha aggredito con l’acido il suo ex fidanzato del liceo, Pietro Barbini, insieme all’amante Alexander Boettcher. Una vicenda pazzesca di cui ancora si capisce poco. Pazzesca come probabilmente era sembrata all’inizio la denuncia che le aveva fatto un ex fidanzato: «Martina ha tentato di evirarmi». Ora la Procura sta rileggendo il fascicolo. Secondo la versione del ragazzo, Martina era con lui sull’auto. E ad un certo punto gli aveva sussurrato: «Chiudi gli occhi, che ti faccio un regalo».

Edoardo Montolli per Gqitalia.it

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Edoardo Montolli

Edoardo Montolli, giornalista, è autore di diversi libri inchiesta molto discussi. Due li ha dedicati alla strage di Erba: Il grande abbaglio e L’enigma di Erba. Ne Il caso Genchi (Aliberti, 2009), tuttora spesso al centro delle cronache, ha raccontato diversi retroscena su casi politici e giudiziari degli ultimi vent'anni. Dal 1991 ha lavorato con decine di testate giornalistiche. Alla fine degli anni ’90 si occupa di realtà borderline per il mensile Maxim, di cui diviene inviato fino a quando Andrea Monti lo chiama come consulente per la cronaca nera a News Settimanale. Dalla fine del 2006 alla primavera 2012 dirige la collana di libri inchiesta Yahoopolis dell’editore Aliberti, portandolo alla ribalta nazionale con diversi titoli che scalano le classifiche, da I misteri dell’agenda rossa, di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti a Michael Jackson- troppo per una vita sola di Paolo Giovanazzi, o che vincono prestigiosi premi, come il Rosario Livatino per O mia bella madu’ndrina di Felice Manti e Antonino Monteleone. Ha pubblicato tre thriller, considerati tra i più neri dalla critica; Il Boia (Hobby & Work 2005/ Giallo Mondadori 2008), La ferocia del coniglio (Hobby & Work, 2007) e L’illusionista (Aliberti, 2010). Il suo ultimo libro è I diari di Falcone (Chiarelettere, 2018)

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