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Abissi, un racconto di Carmela Scotti

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Finalista al Premio Calvino con il romanzo L’imperfetta (qui il booktrailer), a breve sarà in libreria con un grosso editore. Fronte del Blog pubblica un suo straordinario racconto. Assolutamente da non perdere. Buona lettura.

carmela scotti 13

Abissi 

di Carmela Scotti

Rosy ha una cesta di roba sporca da lavare e un grumo di cellulite nuova nell’interno della coscia sinistra. Buccia d’arancia pallida, tutta onde e grinze severe, spuntata da chissà dove. Non dovrebbe essercene la stessa quantità su entrambe le cosce, di cellulite? Rosy se lo domanda, a bassa voce, davanti alle confezioni di pannolini, allo specchio Ikea, ai vestiti sporchi gettati alla rinfusa: jeans, magliette colorate, mutande nere e bianche, un carnevale di germi aggrappati alle fibre. Seduta sul bordo della vasca, afferra la coscia sinistra con tutte e due le mani e stringe la pelle, stringe la buccia. Non va. Non va via. Non se ne va. Non può farci niente. Può solo fissare la sua gamba e pensare a com’era prima, alla sua pelle passata.

Il primo vagito di suo figlio la sorprende con le mani ancora strette intorno alla coscia. Rosy si lava la faccia, ma si dimentica di asciugarla. Le gocce, come le briciole di Pollicino, la seguono in fila indiana nel corridoio. I vagiti diventano due, poi tre, poi quattro, poi si confondono con il canto degli uccellini nel cielo di settembre. Rosy non sa più dove finiscono i vagiti e dove cominciano gli uccellini.

Resta in ascolto. Adesso sembra che il pianto provenga dal campo incolto fuori dalla finestra del bagno. Che sgorghi dal terreno, come una piccola sorgente. A Rosy piace pensare a suo figlio insieme ai pettirossi. Accucciato sul nido, con le cosce paffute piegate sui rami e la bocca spalancata sul verde delle foglie. Impiega cinque minuti ad immaginare il bambino che allarga le braccia e spicca goffo il volo, poi va in cucina a preparare il caffè. Da quanto tempo non dorme come si deve? Da quanto tempo non arriva anche per lei un sonno nuovo di zecca, di prima mano, fresco di bucato, fragrante e pieno? Rosy si guarda le occhiaie usando il coltello del pane come specchio: sono grigie, irregolari e anonime, come i dossi di tutte le strade.

CARMELA SCOTTI, FOTOGALLERY

 

Dei vagiti disperati di suo figlio ha perso il conto: nove, dieci, undici, a cadenze regolari. Sono la sua sveglia, conficcata nella testa come un chiodo della Via Crucis. La mattina, il pomeriggio, la sera, la notte. Suo figlio non è un maledetto pettirosso, e non sta sospeso su un ramo. Agita le braccia ma non spicca mai il volo. Suo figlio sta nella culla e pretende. Se le api di peluche smettono di girare, lui pretende che continuino a girare. E che la musica del carillon finisca e ricominci, ancora e ancora.  Pretende l’eterno, il neonato, dalla sua mamma e dal mondo intero.

Rosy sta cercando di ricordare com’era la sua vita prima che suo figlio nascesse, ma non ne ha il tempo. I vagiti diventano un lungo lamento senza pause, la sirena che annuncia l’incendio. Rosy spalanca le braccia e solleva suo figlio dalla culla. “Cosa c’è? Vuoi la pappa?”. Lo accarezza sulla testa calda. Sulle pieghe sudate del collo. Il bambino stringe gli occhi e grida. Punta i piedi paffuti sulle smagliature di Rosy, sulle bucce di ritenzione ostinata, e con il pugno chiuso le tira i capelli. Stringi i denti, stringi i denti che adesso passa.

Una volta ce l’aveva quasi fatta. Si era comprata un bel completino nero e si era presentata negli studi di Mediaset. Voleva diventare una letterina di Jerry Scotti, lo voleva come non aveva voluto nient’altro nella sua vita.  Sapeva di non essere tanto alta, ma nella vita non c’è solo quello. Se sorrideva, gli uomini si giravano a guardarla. Le guardavano il culo soprattutto, e lei si sentiva bella. Dormiva sonni pieni e felici, e sognava di ballare fasciata in un costume di paillettes.

Il bambino spalanca la bocca e grida. Rosy gli vede le tonsille, conta ogni singola lacrima. Del giorno del provino ha tutte le foto conservate.  Aveva ballato e sistemato le mani intorno alla faccia, come a mimare lo schermo di un televisore. Aveva risposto a tutte le domande e sorriso alla telecamera.

Rosy si siede sul letto con suo figlio in braccio. Gli fa fare cavalluccio e lui piange. Gli asciuga il sudore e lui piange. Gli fa il solletico sulla pancia, e il bambino finalmente ride. Poi muove le mani e cerca di afferrare i capelli di sua madre. Era bello quando il futuro era una sorpresa. Il bambino adesso non ride e non piange. Si limita a guardare sua madre come si guarda uno strano animale in un recinto.

Rosy lo mette nella culla e finisce di bere il suo caffè. Cammina per la stanza massaggiandosi la coscia sinistra, stringendo i crateri di carne tra l’indice e il pollice. Magari se bevo molta acqua la situazione migliorerà. Sente gli uccellini sugli alberi, il rumore delle zampe sui rami secchi, le ali pronte a spiccare il volo.  Con la testa piena di ricordi, Rosy riempie la vaschetta di plastica azzurra con l’acqua tiepida. Chissà dove sarei adesso, se mi avessero presa a quel provino. Vivrei in una di quelle case al centro di Milano, con la terrazza addobbata di fiori e la vista sul Duomo. Mette la biancheria sporca in lavatrice. Non la separa, bianchi e colorati, la folla di germi in festa schiacciata nell’oblò. Solleva suo figlio dalla culla e gli sussurra qualcosa all’orecchio, poggiando le labbra sulla carne tenera.

Rosy dopo il parto non era stata bene. Tutti le avevano promesso delle sorprese, e le sorprese non arrivavano. Avrebbe anche accettato le smagliature e la cellulite, ma voleva la sorpresa. I suoi capezzoli, a forza di allattare, si erano riempiti di linee scure come certi terreni assetati di pioggia. Di notte poi il suo cervello si riempiva d’acqua, e lei sognava di morire schiacciata dalle onde del mare.

Mette il bambino nella vasca: “Senti gli uccellini come cantano? Li senti?”. Avrebbe potuto diventare tutto quello che voleva, se suo figlio non le avesse regalato mucchietti scomposti di cellulite e smagliature che puntavano al cielo. Le mani di Rosy guidano la saponetta sulla pancia di suo figlio, sul suo ombelico a cupola, sui suoi capelli color del sole.  Il bambino afferra la paperetta e mima un mare in tempesta, nell’oceano di plastica. “Li senti gli uccellini? Li senti?”. Nei corridoi di Mediaset aveva anche incontrato Jerry Scotti che le aveva sorriso e augurato buona fortuna per il provino.

Rosy prende suo figlio dalle ascelle e lo mette a pancia in giù, per lavargli la schiena. Il bambino guarda il mare in tempesta e batte felice le mani, portando scompiglio tra gli abissi marini. La paperetta si è arenata in una piega della gamba; dondola, placida e gialla, tra il ginocchio e il polpaccio. Devo fare la spesa e cambiare le lenzuola. Ma tu li senti gli uccellini cantare? Li senti, sì o no? Rosy lava le gambe di suo figlio, esercitando, con l’altra mano, una leggera pressione alla base del collo. Quel provino posso sempre rifarlo, se voglio. Il neonato fa il sub, esplora da vicino il mare e i suoi misteri. La carne, i pannolini, il pane e una crema per la cellulite. E poi cos’altro? Il mare rallenta e le onde diventano a poco a poco increspature di seta leggera. Il bambino apre la bocca una volta, gli occhi fissi sul fondo della vaschetta, le mani paffute a stringere l’acqua, il conforto della mano sulla nuca. Dove le ho conservate le foto del provino? Dove le ho messe? E perché le mie unghie continuano a essere nere anche se le pulisco con un piccolo spazzolino, ogni santo giorno? Il bambino vede milioni di scintille colorate riflesse nell’acqua, dischetti di luce e pesciolini argentati nell’incavo delle sue ascelle. E così il suo corpo paffuto si beve tutta l’acqua che i suoi polmoni possono contenere, e sale verso il soffitto, tra le ragnatele agli angoli dell’intonaco, a contemplare la schiena minuta di sua madre e quella mano, così calda e rassicurante, sulla sua nuca bionda.

Uno squillo, il suono del telefono in cucina. Rosy guarda la nuca di suo figlio e il trillo gli si arrampica sulla schiena, come un animale tutto unghie e denti. Guarda la sua mano che tiene la testa del neonato sotto il pelo dell’acqua e per qualche secondo tutto è stupore, il suo corpo, il corpo del bambino, la stanza da bagno, la lunghezza delle dita che si adattano perfettamente alle rotondità della piccola testa. Un terzo squillo cambia la frequenza dei suoi battiti cardiaci, e lo stupore lascia il posto allo spavento. Rosy solleva il bambino, che ha la faccia livida e le meraviglie degli abissi incise sulle pupille umide. Perde acqua il neonato, per tutto il pavimento del bagno.  Urla talmente forte da coprire il rumore del telefono e la pelle d’oca sulla schiena della madre. Rosy mette suo figlio sul davanzale e gli parla, rivolta alle sue lacrime e alla pelle viola della fronte. “Li senti gli uccellini, li senti?”. Ha il fiatone Rosy, non riesce a respirare, fa scorta di cielo. Il bambino allunga una mano verso il campo incolto e agita le braccia. Trema ancora un po’, bagnato per com’è, lancia due lacrime nel vuoto, poi dimentica e perdona. Apre e stringe i pugni, a dire ciao, a chiamare il solletico di un’ala.  E adesso che una promessa, almeno una, venga mantenuta.

 

 

 

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