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La doppia vita di Don Elvis, prete di giorno e cantante rock di notte

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don elvis «Chi canta bene prega due  volte». Antoniu Petrescu,  parroco di Avezzano,  in provincia de  L’Aquila, ripete questa frase di  Sant’Agostino ogni volta che  qualcuno rimane interdetto per  i suoi due grandi amori: Gesù  ed Elvis Presley. “Passioni”  che questo prete romeno di 42  anni coltiva sin da piccolo. È  il 1988 quando, a sedici anni,  scettico di fronte all’invito di  pregare sant’Antonio di Padova  per ottenere un miracolo,  chiede al popolare santo che  un vecchio concerto del re del  rock venga mandato in onda  sulla rete nazionale romena, la  domenica successiva. Cosa che  accade realmente nonostante  le strette maglie della censura  di Ceauşescu.  Tanto basta per accendere  nel cuore di Antoniu  la miccia della  fede. Che in poco  tempo diventa un  incendio.

IN ITALIA- Dopo  aver frequentato  il seminario, a  vent’anni si trasferisce  in Italia e, nel  2004, viene ordinato  sacerdote nella  cattedrale di Avezzano.  Ed è proprio  in quegli anni che i  fedeli scoprono la passione del  loro parroco, ma soprattutto  le sue innate capacità canore.  Motivo per cui viene soprannominato  Don Elvis…

Come nasce la tua passione  per la musica?

«Provengo da una famiglia  di musicisti, per me è stato naturale iniziare  a suonare.  Io canto e  suono vari generi, oltre a Elvis  che è stato il mio primo amore  artistico. Ed è anche per questo  che è nato il mio soprannome…  ».

Cosa ne pensano i tuoi fedeli  del tuo secondo amore? 

«Beh, in chiesa sono impeccabile,  non sgarro, anche per non confondere le due cose:  quindi, sull’altare faccio il prete,  sul palco l’artista. La musica,  per me, è un veicolo, ma  non sostituisce la fede che va  alimentata. Credo che la musica  sia anche terapia, rifugio nei  momenti di tristezza e malinconia.  Ma è anche un elemento  che porta gioia e allegria nel  cuore, anche se da sola non basta:  bisogna ascoltare la Parola di Dio, ma anche affrontare i  problemi con l’aiuto di amici  e familiari. Penso, inoltre, che  essere un ministro del culto  non escluda la possibilità di  coltivare passioni o, addirittura,  di avere un’altra attività,  nel mio caso artistica. Mi è stato  elargito un talento, un dono,  non vedo perché lo debba sotterrare.  Anzi, ben venga! In  questo modo, sono chiamato a condividerlo con gli altri per  farli emozionare».

Dunque si può essere sacerdoti  e artisti allo stesso  tempo: come ci si sente in  questa duplice veste?

«Cerco di vivere bene la  mia dimensione, con equilibrio  e maturità nel rispetto dei  carismi degli altri e senza ferire  la sensibilità religiosa di  nessuno. Poi, certo, non pos- siamo piacere a tutti. Ma pazienza…  ».

Vivresti senza musica? 

«Ho imparato che, senza  musica, il giorno non finisce,  senza musica la  vita non cambia,  senza musica  non si può  amare!».

Il tuo entusiasmo  è figlio del bambino  che c’è in te… 

«In effetti mi sento ancora  un bambino. E credo nelle  virtù dei piccoli, cioè la loro  innocenza e la sincerità che li  contraddistingue: sono i primi  a intuire se la persona che gli  sta davanti vuole loro bene, li  accetta e li ama. Quanto, invece,  all’atteggiamento che  ognuno di noi dovrebbe avere,  mi viene in mente una frase  del vangelo: “Se non diventerete  come bambini, non entrerete  nel regno dei cieli”».

Perché i giovani non sono  così vicini alla Chiesa? 

«Sono scoraggiati perché si  accostano alla vita attraverso  i sensi, con l’approccio di san  Tommaso: “Se non vedo non  credo”. A loro mancano i punti  di riferimento, la società non  li aiuta e la chiesa da sola fa  quello che può, molti si avvicinano  soltanto nel momento  del bisogno. La presenza del  male nel mondo, poi, non è  opera di Dio, ma del rifiuto  dell’uomo, del suo egoismo, a  volte davvero distruttivo».

Cosa ne pensi del fenomeno  Suor Cristina? 

«Faccio il tifo per lei, secondo  me è molto brava e se mi  capitasse farei volentieri un  duetto con lei».

Valeria Sorli per Vero

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