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“Andremo in Israele, dove si pratica una cura molto simile al metodo Stamina”

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Al settimanale Stop parla la famiglia di una bimba colpita dalla Smard 1, malattia rara per la quale i genitori avrebbero voluto affidarsi alla fondazione di Davide Vannoni, oggi sotto inchiesta a Torino per associazione a delinquere e truffa. Il giudice ha vietato l’infusione di staminali. E loro andranno a Tel Aviv dove, dicono, si pratica una cura molto, molto simile. E parecchio costosa. Si tratta del Ctci Center, dove opera il dottor Shimon Slavin. Un viaggio della speranza che diversi pazienti di Stamina hanno già percorso nei mesi scorsi. 

 

federica e vannoni

 

 

Questa è la storia di Federica Calà Scaglitta una bellissima bimba di cinque anni che vive a Capri Leone, un paesino in provincia di Messina. Il suo bel visino emana gioia e riempie le giornate di mamma Laura e papà Davide. Come tutti i bimbi Federica ama i cartoni animati, i giochi e le favole e sogna il lieto fine. Da quasi tre anni, però, a causa di una grave malattia, la piccola vive attaccata a un respiratore perché affetta dalla “Smard 1”, una rara patologia che provoca l’atrofia muscolare spinale. Mamma Laura ci racconta come la sua famiglia vive questa terribile malattia.

Come ti sei accorta della malattia di Federica?

«Appena nata era una bellissima e vivace bambina, direi perfetta come ogni mamma desidera la propria creatura. Purtroppo a cinque mesi ho avuto le prime avvisaglie, accorgendomi che la bimba non appoggiava bene il piedino sinistro. Così ho pensato di portarla dal pediatra che mi ha rassicurata, dicendomi che era soltanto un problema della crescita. Non avendo però notato miglioramenti, abbiamo in seguito deciso di fare delle prime analisi dietro suggerimento di un neurologo e, anche questa volta, gli esiti furono negativi».  

A otto mesi avete scoperto che non poteva camminare…

«Sì, abbiamo iniziato a metterla sul girello, ma non riusciva a stare in piedi. Così per l’ennesima volta l’ho portata al policlinico di Messina dov’è stata ricoverata. Gli arti risultarono poco tonici ma anche in quell’occasione gli esperti non riuscirono a darci una vera diagnosi. A giugno del 2009, però, quando Federica aveva appena dieci mesi, accusò un forte raffreddore che faceva sospettare una polmonite. Così dopo gli accertamenti si è evidenziata questa grave malattia che porta la paralisi dell’emidiaframma».  

Cosa avete deciso di fare? «Siamo andati a Roma all’ospedale Bambino Gesù, dove avevamo preso contatti con un chirurgo che ci aveva rassicurati sulla possibilità di effettuare un intervento sistemando il diaframma e riposizionando gli altri organi. Purtroppo, a seguito di un consulto con l’analisi dei vari sintomi, a cui è seguita un’accurata indagine genetica, ci è stato detto: “Federica ha una malattia neurodegenerativa. Non camminerà, non parlerà, non avrà una vita normale”. L’amara sentenza è arrivata il 2 ottobre 2009. Ci eravamo documentati sulla malattia e sapevamo che era incurabile».  

Dev’essere stato terribile.

«La diagnosi è stata molto dura da accettare ma poco per volta, dal momento che le condizioni di Federica inizialmente non erano difficoltose, siamo riusciti a trovare un equilibrio. Sapevamo che il peggio poteva venire da un momento all’altro, ma era come se non ci volessimo arrendere all’evidenza. Abbiamo cominciato a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, cercando di far vivere a Federica esperienze inimmaginabili per la sua condizione, senza mai farle pesare la sua disabilità. Lo facciamo tuttora anche se è molto più complicato».

E Federica?

«Ha vissuto fino all’età di tre anni e mezzo una vita quasi normale. L’unica cosa che non riusciva a fare era camminare da sola, ma si aiutava con un deambulatore. Abbiamo cercato di farle vivere il più possibile le esperienze che una bambina della sua età deve fare. Ha affrontato tanti viaggi in aereo, in macchina, anche lunghi. Nell’estate del 2011 l’abbiamo portata anche allo zoo di Fasano. Aveva anche iniziato a frequentare la scuola, quando ha preso un brutto raffreddore che purtroppo l’ha quasi soffocata».  

A vederla riesce a infondere una straordinaria forza…

«E’ una bimba che non ha limiti. Chi si accosta a lei non vede più quel corpicino così infermo ma un portento che sprigiona energia, gioia e amore! Lei non conosce odio o invidia, ha la capacità di far innamorare tutti coloro che le si accostano».  

Il peggio, però, arrivò dopo.

«Purtroppo sì, il 28 novembre 2011 il corpo di Federica si fermò ed è arrivato il coma».  

Ora qual è la situazione?

«Siamo riusciti a superare questo momento e, quand’è stata estubata, lei è riuscita ad abituarsi alla ventilazione non invasiva e ha iniziato a mangiare semi liquido. Ha perso lo stimolo della tosse che ora fa in modo indotto ed espelle i muchi con un aspiratore. è di nuovo a casa insieme a noi».  

Avete cercato una cura?

«Fin dalla diagnosi ci siamo sempre sentiti ripetere che non esisteva rimedio. Invece circa un anno e mezzo fa abbiamo saputo di una cura alternativa, non ancora sperimentata, relativa al metodo Stamina. Non vogliamo veder morire nostra figlia senza fare nulla, così abbiamo iniziato un’aspra battaglia legale che in questo momento è l’unico modo in Italia che ci consente di accedere alle cure compassionevoli a base di cellule staminali».  

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La giustizia però s’è pronunciata diversamente…

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«Per Federica il Tribunale di Patti, in Sicilia, si era espresso favorevolmente con un provvedimento d’urgenza col quale si obbligava l’ospedale di Brescia a sottoporre la nostra piccola a questa cura, dopo mesi d’attesa e manifestazioni nelle piazze in giro per l’Italia. Lo stesso tribunale di Patti, però, lo scorso ottobre ha revocato il provvedimento. Ci siamo opposti con tutte le nostre forze e attraverso i nostri legali abbiamo presentato ricorso, ma purtroppo l’hanno respinto gettandoci nella disperazione».  

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Che alternative avete?

«L’unica è portarla in Israele, dove si pratica una cura a base di cellule staminali molto simile al metodo Vannoni».  

Come pensate di affrontare questa trasferta così costosa?

«Sapere che Federica non esce mai di casa se non per andare in ospedale e immaginare di arrivare a Tel Aviv è un impegno molto grande, per di più il costo di questa cura è interamente a carico nostro e si parla di cifre molto alte. Abbiamo anche aperto un conto corrente su cui far confluire le donazioni. In tutti i paesi vicini al nostro è scattata una gara di solidarietà, e settimanalmente si organizzano eventi che hanno lo scopo di raccogliere fondi per far continuare la vita di Federica».  

Valeria Sorli per Stop 

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