Poteri

Cosa resta di Andreotti? Stop lo ha chiesto a diverse personalità

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Da Stop ecco alcuni dei commenti raccolti dal settimanale

 giulio andreotti

Il Presidente Giorgio Napolitano ha detto: «Lo giudicherà la Storia». Altri, invece, l’hanno omaggiato. E altri ancora non sono stati così teneri. Giulio Andreotti, morendo lo scorso lunedì 6 maggio a 94 anni, ha scatenato, come sempre in vita, tutta una serie di commenti, ricordi, citazioni che hanno diviso, ancora una volta, l’Italia. Stop ha chiesto a dieci nomi del mondo dell’informazione, dello spettacolo e della cultura un commento su questo protagonista indiscusso di quasi ottant’anni di politica italiana.

 

«LA POLITICA ERA PIU’ CATTIVA DI LUI»

Francesco Alberoni, sociologo: «Era uno scrittore brillante e un autore raffinato: un uomo di altissima intelligenza che giocava a fare il cinico. Aveva accettato la parte di Belzebù, quasi fosse una maschera. Io non ho mai pensato che fosse corrotto, anche se restano dubbi sui rapporti intrattenuti in Sicilia. Era un politico navigato, ma tutto sommato profondamente solo nell’intimità, almeno così credo. Quella solitudine intellettuale tipica di chi vede che le cose non vanno come si vorrebbe e tenta di aggiustarle. Andreotti ha vissuto in un’epoca in cui non era più possibile avere un De Gasperi, un demiurgo della politica. Chi ha tentato di esserlo è stato Craxi e gliel’hanno fatta pagare. Si è parlato tanto di potere a proposito di Andreotti, ma non è stato mai un Bismarck, un Roosevelt o un Churchill. Era un uomo di grande valore intellettuale, un uomo di Stato che ha operato in un mondo politico più cattivo di lui».

 

«Misteri da risolvere prima del paradiso»

Riccardo Bocca, giornalista di Repubblica: «Per ricordarlo, partirei con un incontro che ho avuto con lui proprio nei suoi uffici, mentre stavo verificando alcuni passaggi della storia italiana per un’inchiesta. Gli chiesi se potesse fornirmi dei documenti riservati relativi a eventuali rapporti tra spie dell’Est e politica italiana. Lui, in quell’occasione, è stato molto cordiale e al termine del nostro incontro mi chiese di ripassare nel pomeriggio per ritirare del materiale. Una volta tornato, mi ha fatto trovare una pila consistente di carte di cui, però, solo l’un percento poteva essere significativa e fare al caso mio. Mi misi a consultare quei documenti lì e mentre frugavo tra quella grande mole di carte trovai, dopo un po’ di tempo, qualcosa di utile. E lui mi disse : “Adesso m’ha dato grande soddisfazione”. Era un personaggio molto complesso, cercava di venire incontro alle esigenze dei giornalisti, ovviamente senza per questo mai danneggiarsi. Ho postato una battuta di commento dicendo che il suo film preferito fosse Il Paradiso può attendere. Nella sua figura è contenuta l’intera storia del Dopoguerra italiano e quindi sicuramente prima di aver accesso a un posto in Paradiso, molti misteri dovranno essere chiariti. Anche se dubito che mai lo si farà».

 

«Questo governo sembra uno dei suoi»

Gerardo Greco, giornalista e conduttore di Agorà: «Andreotti è scomparso in un momento in cui di lui si parla molto, perché le “larghe intese” di moda oggi partirono proprio in occasione di un suo Governo negli Anni Settanta. E poi, ironia della sorte, lui che rappresenta la storia della Democrazia Cristiana scompare proprio quando i giornalisti si esercitano a descrivere questo Governo come metodologicamente democristiano. L’ho intervistato negli anni Novanta, quando lavoravo in radio, nel periodo in cui si tenevano i suoi processi a Palermo. Riuscii a contattarlo al telefono e sebbene fosse già molto anziano e provato dalle vicende giudiziarie che lo riguardavano, non aveva affatto perso il suo gusto per la battuta. Gli chiesi se fosse a Cortina, come aveva scritto un giornale, mi rispose che, in realtà, era a San Felice Circeo, ma di aver appreso da un prestigioso quotidiano di sbagliarsi e di essere invece a Cortina…».

 

«La sua faccia faceva comodo al paese»

Giuseppe Di Piazza, giornalista de Il Corriere della Sera: «Ha segnato il nostro Secondo Dopoguerra e la sua figura è stata fatta diventare gigante da alcuni processi intentati contro di lui. L’andreottismo è stata una malattia italiana che non andava, però, combattuta per via giudiziaria, ma politica. I processi che l’hanno visto protagonista hanno fatto sì che ne uscisse vincente, quantomeno dal punto di vista mediatico. È stato in questo modo beatificato in vita. Andreotti è stato la faccia dell’Italia che ha fatto comodo a gran parte del Paese stesso. Il suo potere affondava le sue radici in Sicilia e nel Lazio che sono state le sue roccaforti finché la morte di Salvo Lima non l’ha mandato in pensione».

 

«Aveva capito come parlare ai giovani»

Monsignor Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano: «Uomo attento allo sviluppo culturale come quando, a vent’anni dall’Enciclica Vigilanti Cura di Pio XI, nel 1956, propose di espandere la presenza delle sale cinematografiche cattoliche. Sulla rivista Il cinematografo scrisse: “Il tempo stringe, e chi arriverà per primo a costruire i cinematografi in parecchie centinaia di piccoli Comuni, in particolare al Sud, avrà in mano un mezzo decisivo, specie per l’orientamento delle nuove generazioni”. Altro aspetto cinematografico di Andreotti è legato alla polemica nei confronti del film Umberto D di De Sica che criticò perché “aveva reso un pessimo servizio all’Italia” con il suo pessimismo. Un’icona della storia repubblicana se ne va, con tutte le passioni, le lotte e le intuizioni di cui è stato capace. A noi riprendere in mano la fatica di un Paese segnato da fatiche e da crisi. Chissà se non valga la pena, almeno per quanto attiene alla correttezza del dibattito parlamentare, dire grazie al senatore Andreotti».

 

«Suo l’ultimo governo politico» 

Franco Di Mare, giornalista Rai: «Se ne va con lui un pezzo di storia del nostro Paese. è stato uno dei padri costituenti, è entrato nel primo Parlamento repubblicano, è stato il più giovane sottosegretario. è l’ultimo dei grandi a uscire di scena in una situazione di crisi del nostro sistema politico. Gli è rimasta addosso l’etichetta di grande stratega della politica internazionale e Belzebù di quella interna. Vale per lui la considerazione che fece Giorgio Bocca a proposito del famoso bacio ai mafiosi dicendo che dubitava che avesse persino mai baciato la moglie. Il suo, negli anni Novanta, è stato l’ultimo Governo politico della Prima Repubblica. L’intervistai un paio di anni fa e dopo aver elencato tutte le cariche che aveva ricoperto mi disse ironicamente: “Lei mi ha fatto l’epitaffio, mentre sono ancora in vita”».

 

«Padre dei cattivi politici di oggi»

Barbara Alberti, scrittrice: «Lascia parecchi eredi, tutto quello che sta accadendo oggi è stato iniziato da lui. è stato il grande patriarca, il degno padre dei politici non proprio apprezzabili che abbiamo oggi. Solo che lui, a differenza loro, aveva studiato. C’è un libro straordinario di Alessandra Fiori, Il cielo è dei potenti, dove si racconta bene tutta la storia della Dc. La politica e il Parlamento che abbiamo oggi li dobbiamo a lui. Aveva una tale aura di immortalità che mi chiedo se si possa davvero credere alla notizia che sia scomparso».

 

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