Cold caseDelitti

La lunga serie di errori in via Poma, da Vanacore a Federico Valle. Fino a Raniero Busco. Troppi innocenti trascinati nella polvere

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via Poma

Anche per il delitto di via Poma è attesa la sentenza di Cassazione. L’assoluzione in appello di Raniero Busco, l’ex fidanzato di Simonetta Cesaroni, uccisa negli uffici dell’Aiag il 7 agosto 1990, ha riportato ancora una volta la lancetta del delitto indietro di ventitre anni. Dubbi, per i giudici d’appello, non ce sono.

Una superperizia ha smontato tutte le “prove” che avevano pesato su di lui in primo grado: le tracce di sangue trovate sulla scena del crimine erano di gruppo A e dunque non compatibili con lui. Il dna sul reggiseno della ragazza apparteneva a tre soggetti maschili diversi. Il segno sul seno della vittima, che per l’accusa era il segno di un morso che corrispondeva “esattamente” alla particolare dentatura di Busco e fatto contestualmente al delitto; ecco anche quello probabilmente non era nemmeno un morso. D’altra parte, ancor prima della superperizia, e molti anni prima che Busco venisse incriminato, il medico che fece l’autopsia Ozrem Carella Prada, rilasciò un’intervista in cui affermava chiaramente: «In realtà, potrebbe essersi trattato solo di un pizzico dato con le mani. Anche perché altrimenti si sarebbero potuti eseguire rilievi morfologici  per identificare la dentatura di chi lo aveva lasciato». L’intervista era poi finita in un libro di Massimo Polidoro Cronaca Nera (Piemme, 2005). cronaca nera

Bastava leggerla per chiedersi: com’ era possibile che un medico legale sostenesse, con il cadavere davanti, che quello forse era un “pizzico” e non un morso, e che vent’anni più tardi, senza cadavere e con le sole foto, si stabilisse invece, che non solo si trattava di un morso, ma anche quando fu dato e quale fosse la dentatura che affondò nella carne? Per Busco e la sua famiglia sono stati anni difficili. E nel frattempo, ad allargare il cerchio di sofferenza che questa tremenda vicenda si è portata dietro, c’è stato il suicidio in 90 centimetri d’acqua di Pietrino Vanacore, il portiere dello stabile del delitto, annegatosi alla piccola baia del litorale di Torre Ovo poco dopo aver fatto colazione con due amici al bar il 9 marzo 2010: non ce la faceva più a reggere il peso dei sospetti. Lasciò una serie di bigliettini simili a quelli trovati in casa e in garage e a tre cartelli, tutti sullo stesso tema: “Venti anni di martirio senza colpa e di sofferenza portano al suicidio”.

via Poma

Tre giorni più tardi sarebbe dovuto comparire come testimone nel processo di primo grado a Busco. Col delitto di Simonetta, ammazzata con 29 coltellate, la sua vita era infatti cambiata radicalmente: il primo sospettato fu proprio lui, arrestato dopo appena tre giorni, 10 agosto 1990. Fece 26 giorni di cella. Alla fine il pm ne chiese l’archiviazione: il sangue trovato sulla scena del crimine non era il suo. Tre anni più tardi lo indagarono ancora, per favoreggiamento nei confronti di un ragazzino, Federico Valle, nuovo sospettato del delitto, che aveva il nonno che abitava nello stabile e il padre che lavorava lì.  Una storia stranissima, specie per come era nata: ad  accusare il ragazzo era stato uno curioso commerciante d’auto, Roland Voller, un tizio che aveva conosciuto al telefono la madre di Federico. Secondo il suo bizzarro racconto, la donna gli riferì che Federico, il giorno dell’omicidio, era tornato a casa da via Poma con il braccio ferito. Per l’accusa Valle doveva essere l’assassino. Ci volle il dna a scagionarlo: il 18 giugno 1994 la Corte d’Appello decise il “non luogo a procedere” per Valle e Vanacore. Voller, dopo essere stato trovato in possesso di documenti riservati sul delitto dell’Olgiata, di un telefonino intestato al ministero dell’Interno – che dissero clonato – e di una misteriosa lettera di raccomandazione della Questura, uscì di scena. Vanacore, invece, veniva sempre interpellato: il 20 ottobre 2008 gli inquirenti fecero perquisire la sua casa di Monacizzo, Taranto, alla ricerca di un’agendina nella quale speravano di ottenere elementi utili. Non trovarono nulla. La richiesta di archiviazione fu formulata il 26 maggio 2009. Quando, a quasi vent’anni dal delitto, viene chiamato ancora in aula, anche se ormai solo in veste di testimone e senza più alcuna accusa di cui rispondere, e tutti tornano a ricordare la sua storia, non regge più. E si uccide. Oggi, se si pensa che il dna è stato preso, oltre che a Busco, ad altre trenta persone “attenzionate” negli anni, e che adesso tutti loro sono già scagionati, è facile capire come sia complesso far ripartire l’indagine, una volta che la Cassazione avrà definitivamente chiuso la vicenda dell’ex fidanzato di Simonetta.

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